“Il linguaggio segreto della famiglia” è il terzo libro di Tracy Hogg che ho letto, dopo il best seller “Il linguaggio segreto dei neonati” e il successivo “Il linguaggio segreto dei bambini”. Ognuno di questi libri mi ha lasciato importanti insegnamenti e ha migliorato il mio modo di essere genitore (aiutandomi a comprendere e rispettare le esigenze dei miei figli, a insegnare loro ad addormentarsi nella culla sin da piccoli, a dare indicazioni e regole chiare).

Questo saggio – che Melinda Blau ha portato a termine dopo la prematura morte di Tracy Hogg – si propone l’arduo obiettivo di aiutare genitori, figli e fratelli a “vivere e comunicare serenamente a casa”.

Nella società odierna è frequente che sorgano litigi e incomprensioni all’interno della famiglia: gli adulti si sentono spesso sopraffatti dalle troppe incombenze e dai ritmi di una vita eccessivamente frenetica, rimuginano sul passato e sulle loro scelte, si sentono trascurati dal partner e lasciati soli nella gestione delle problematiche familiari; bambini e ragazzi imitano i comportamenti poco virtuosi dei genitori, che dovrebbero invece essere per loro esempio e guida, si scontrano con gli altri componenti della famiglia, sono poco inclini al sacrificio e all’empatia ed educati all’individualismo.

Ciò che questo libro propone è di cambiare prospettiva, passando dal “parent think” al “family think” per far diventare la famiglia “un luogo sicuro, dove bambini e adulti si sentano importanti”.

Così la famiglia diventa “il luogo dove si impara cos’è l’intimità, dove tutti noi impariamo a «leggere» il prossimo, a rispettare gli altri e a relazionarci con loro. È dove gli adulti affinano l’intelligenza emotiva e l’autocontrollo, e dove i bambini imparano come gestire (e non a reprimere) i sentimenti e come tenere sotto controllo il comportamento. È il luogo dove tutti imparano a sacrificarsi per il bene comune. La famiglia è un riparo dalla tempesta.”

Personalmente, ritengo molto interessante questo approccio che si basa sull’idea che i figli non abbiano bisogno di essere al centro dell’attenzione, ma piuttosto necessitino di sviluppare un senso di appartenenza a qualcosa di più grande – la famiglia appunto – che per funzionare richiede che ogni componente faccia la sua parte, in relazione all’età e alle proprie capacità.

Per applicare il “family think”, si chiede, dunque, di non concentrarsi esclusivamente sulla relazione tra genitore e figlio, ma di analizzare la famiglia nel suo complesso, con riguardo ai soggetti che la compongono (la cui individualità va riconosciuta e rispettata), alle loro relazioni e al contesto in cui vivono, per comprenderne i punti di forza, ma anche i limiti e le difficoltà. A tal fine, può essere utile rallentare: con l’acronimo “S.L.O.W.” le autrici suggeriscono di fermarsi (Stop), ascoltare (Listen); osservare (Observe) per comprendere cosa stia succedendo (What’s up).

Il libro non delinea un modello utopistico di famiglia, ma, al contrario, le idee proposte si fondano sulla consapevolezza che “Nessuna famiglia è perfetta, ciascuna è un «lavoro in corso»”.

Il concetto di lavoro in corso si collega a quello di cambiamento, che coinvolge inevitabilmente tutte le famiglie.

La rottura di un precedente equilibrio familiare è spesso fonte di tensione e di disaccordo, ma alcune famiglie riescono a gestire il cambiamento meglio di altre, perché i loro componenti si impegnano ad essere “R.E.A.L.”, cioè Responsabili, Empatici, Autentici, Leader amorevoli.

In conclusione, ho apprezzato questo libro, ricco di spunti di riflessione, esempi pratici, test e strategie per affrontare le problematiche quotidiane che coinvolgono le famiglie, ma avrei preferito che in alcune parti fosse più sintetico e meno ripetitivo.

Buona lettura!
Eliana Romeo