La smarginatura di Elena Ferrante
Da fenomeno letterario a fenomeno esistenziale – L’amica geniale
Il termine smarginatura compare ed emerge nello scenario semantico, oltrepassando le definizioni presenti nel vocabolario, attraverso la scrittura di Elena Ferrante.
Questa autrice, con le sue opere letterarie, ha scardinato la realtà e i suoi concetti fondamentali: in particolare, la tetralogia dell’Amica geniale (L’amica geniale, Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta, Storia della bambina perduta) indaga fortemente questo concetto, divenendo un focus centrale dell’intera opera.
*Questo articolo contiene spoiler per chi non avesse letto i romanzi o avesse visto solo le prime due stagioni della serie targata Rai/HBO/Fandango.
Che cos’è la smarginatura?
Prima di tutto è opportuno provare a definire, concretamente, la smarginatura. Si tratta di una condizione in cui la realtà, nella sua concretezza e difficoltà, attraverso la sua durezza arriva a rovesciarsi su tutti gli spazi che realizziamo per trovare rifugio e protezione, portandoci a costruire argini che possano contenere noi stessi, permettendoci di non sbandare facilmente.
Nella tetralogia dell’Amica geniale è Lila, Raffaella Cerullo – la protagonista insieme a Lenù, Elena Greco – ad avvertire spesso questa condizione, trovandosi ad affrontare una lotta continua, per tutta la vita, per arginarne la potenza e le conseguenze di questo fenomeno.
La smarginatura si presenta e ripresenta nella vita di Lila in diverse circostanze: la notte di Capodanno, quando vede per la prima volta la vera natura del fratello Rino – che non ha più i connotati infantili, ma sembra essere schiacciato dalla crudeltà del rione, che si riversa su tutti i personaggi -, il matrimonio con Stefano Carracci, il terremoto – uno dei momenti più intensi del quarto e ultimo libro – e la scomparsa della figlia, che colpisce definitivamente il personaggio di Lila.
Ecco, queste forti e grandi situazioni (nel corso della narrazione emergono anche altri numerosi momenti in cui la smarginatura prende il sopravvento sulla realtà, ma ho preferito fare riferimento agli avvenimenti più rappresentativi) invadono la realtà precaria della protagonista, distruggendo tutti i contorni in cui lei ha cercato di inserire sé stessa in maniera compatta.
È proprio nell’episodio del terremoto che Lila con Elena utilizza il termine smarginatura per la prima volta:
“Gridò ansimando che l’auto s’era smarginata, anche Marcello al volante si stava smarginando, la cosa e la persona zampillavano da loro stesse mescolando metallo liquido e carne. Usò proprio smarginare.”
“Esclamò che aveva dovuto sempre faticare per convincersi che la vita aveva margini robusti, perché sapeva fin da piccola che non era così – non era assolutamente così -, e perciò della loro resistenza a urti e spintoni non riusciva a fidarsi.”
“L’unico problema è sempre stato l’agitazione della testa. Non la posso fermare, devo sempre fare, rifare, coprire, scoprire, rinforzare, e poi all’improvviso disfare, spaccare.”
A differenza di Lila, Elena non sembra subire la smarginatura, ma la asseconda, la vive, la espande in un certo senso: Lenù si abbandona alle emozioni, alle passioni, alla sregolatezza di una relazione extraconiugale, oltrepassando anche i confini geografici, uscendo non solo dalla realtà del rione e di Napoli, ma anche dall’Italia stessa.
La smarginatura come elemento dell’esistenza umana
Questo concetto, la smarginatura, è una metafora letteraria della Ferrante o si può trovare nella nostra quotidianità?
Io ritengo che l’autrice abbia dato nome ad una condizione molto comune, dinanzi alla quale, guardando alle due protagoniste, si potrebbe reagire in due differenti modi: o vivendo come Elena, o trovandoci ad essere un po’ o del tutto Lila.
È facile entrare in un circolo vizioso come quello delle sicurezze e della loro continua ricerca nella quotidianità. Si arriva ad avere bisogno di programmare ogni cosa, di trovare e, poi, mantenere un porto sicuro nelle certezze affettive, lavorative o, in generale, in dinamiche che reputiamo necessarie per il nostro quieto vivere.
E, allora, nel momento in cui qualcosa va storto, quando tutti i muri di difesa crollano giù, ci sentiamo perduti: ci sembra di aver perso tutti i margini in cui avevamo contenuto la nostra esistenza.
Tutto quello che ci circonda perde le sue “normali” fattezze, diventa una massa informe, ingarbugliata, difficile da districare. Oppure si ha la sensazione di frantumarsi, la compattezza viene via, lasciando lo spazio a colate di frammenti deformati e deformanti.
L’imprevedibilità delle situazioni
E poi c’è chi riesce a godere dell’imprevedibilità delle situazioni, assecondando la rottura degli argini, la mutevolezza delle situazioni e degli stati emotivi. Chi si trova ad affrontare in questo modo la smarginatura, prende forza da essa in una continua rete di rottura e ricomposizione, rinnovandosi continuamente.
Così come Elena Greco, che, attraverso l’analisi costante rivolta alla sua amica, riconosce la smarginatura anche nella sua vita – come in quella di ognuno, quindi generalizzazione di tale condizione -, individuandone la contraddittorietà nel suo frantumarsi, perdere i margini e nel successivo ricostruire e ripristinarsi in maniera diversa, migliore e peggiore insieme.
Lenù, infatti, ne prende coscienza in maniera attiva, descrivendo così il suo impatto con la smarginatura: “Mi sentii al centro del caos e tuttavia dotata degli strumenti per individuarne le leggi”.
Come affrontare nel modo migliore la smarginatura?
Come sarebbe più giusto agire e reagire alla smarginatura? Come Lila o Elena? Sicuramente la prima reazione analizzata, quella di Lila, non è positiva, non porta grandi vantaggi, perché, il più delle volte, demolisce e non permette di costruire.
Lei non riesce a trovare delle soluzioni, ci prova tutta la vita, ma alla fine l’unica cosa che le sembra opportuna è quella di “scancellarsi”. Decide di non ricercare e, di conseguenza, incanalarsi in alcuna forma che possa arginarla e contenerla. Sceglie di scomparire senza permettere agli altri di indurla a costruirsi dei margini, portando sé stessa a fuggire, a non mettersi più alla prova in maniera costruttiva.
Allora, forse, la reazione di Elena potrebbe essere la più indicata, assecondare i cambiamenti, i tumulti dell’esistenza per trarne una spinta che possa muovere noi stessi verso il meglio o verso il peggio, che però ci permetterebbe di fare di più, crescendo e migliorando.
Forse entrambe le posizioni sono due estremi, forse la maniera più adatta per affrontare la smarginatura si può individuare nel mezzo: provare ad andare incontro a questa condizione, abbracciandola e sfidandola insieme, ma cercando, allo stesso tempo, di costruire dei lievi margini di sicurezza, che possano contenerci quando lo slancio è davvero fuori controllo e non riusciamo a dominarlo.
Elena Ferrante ha saputo catturare e dare un nome concreto ad una condizione, situazione, e ai suoi conseguenti atteggiamenti che, da generazioni in generazioni, segnano l’essere umano e il suo modo di agire e affrontare sé stesso e la realtà che lo circonda, influenzandolo.