Le favole nella terapia con gli adolescenti
“C’era una volta…”
“Ogni individuo decide nella sua prima infanzia la propria vita e la propria morte, e quel programma che si porterà dentro ovunque vada lo chiameremo d’ora in avanti il suo copione“.
“L’idea di base è che la vita dell’uomo segua dei modelli riscontrabili nei miti, nelle leggende, nelle favole…“, proprio perché “…i miti e le favole più importanti provengono da un’unica trama: la stessa che compare sia nei sogni che nella vita quotidiana di tutti“.
È questo che afferma Eric Berne (1979), padre dell’approccio psicoterapeutico denominato Analisi Transazionale.
È dai copioni della vita reale che derivano i copioni teatrali: analizzare i copioni teatrali, così come le storie inventate e le fantasie create da una persona, significa analizzare il suo copione, il programma di vita che l’individuo ha delineato in seguito a una serie di “decisioni” prese durante l’infanzia per sopravvivere in famiglia, massimizzando la vicinanza e i riconoscimenti da parte delle figure di accudimento.
Il legame che si crea con le figure genitoriali, infatti, nell’infanzia, è essenziale per vivere (cfr. studi di Spitz, 1945 e Spitz e Wolf, 1946).
Ciò significa, ad esempio, che, se una madre è depressa e non riesce a prendersi cura del figlio, il bambino potrebbe decidere di “occuparsi” di sé in maniera autonoma senza chiedere attenzioni piangendo o usando altre modalità, così da massimizzare la vicinanza materna; si porterà dietro questa decisione copionale per tutta la vita riproponendola in tutte le relazioni interpersonali.
Le favole sono rappresentative di impressioni derivate dai primi anni di vita, rispecchiano i nostri processi interiori e rivelano una verità simbolica (Fanita English, 1977, in Caracushansky e Giampietro, 1987).
Le storie che inventiamo parlano sempre di noi, anche se non ce ne rendiamo conto.
Su queste storie proiettiamo inconsapevolmente il nostro Sistema di Riferimento (Schiff, 1980), il nostro modo di vedere la realtà.
È per questo che una tecnica che si basa sull’invenzione di storie può risultare molto efficace in psicoterapia; usando la fantasia attuiamo una regressione, energizziamo la nostra parte bambina ed è come se proiettassimo su uno schermo il film della nostra vita: emergono antiche scene e antiche decisioni, c’è un ritorno al mondo di fiaba della prima infanzia, popolato di mostri e di magie.
Eric Berne afferma che, per comprendere il copione del cliente, si può chiedergli direttamente di raccontare la storia della sua vita come se fosse una favola.
La tecnica dell’invenzione di storie nella terapia con gli adolescenti
La tecnica basata sull’invenzione di storie può rivelarsi molto proficua ed efficace nella terapia con gli adolescenti.
Nell’adolescenza si fa “una prova generale prima che lo spettacolo vero cominci“, in quanto questo periodo rappresenta l’ultimo prima della scelta definitiva del copione individuale, prima che il programma di vita diventi definitivo (Romanini, 1986).
Nell’adolescenza si verificano le decisioni infantili e si provano le nuove decisioni, in modo da adattare il copione alla realtà corrente.
Inoltre, l’adolescente è nel pieno del passaggio dallo stato di bambino allo stato di adulto, in conseguenza dei mutamenti fisici e psichici e dei diversi stimoli che provengono dall’ambiente, per cui non c’è ancora una stabilità, bensì un’oscillazione tra il viversi come bambino e il viversi come adulto (Romanini, 1997a).
Per questo motivo la tecnica di invenzione delle storie può risultare molto utile, soprattutto quando il giovane cliente scivola nello stato di bambino e l’intuizione e la fantasia tornano ad essere i metodi di verifica dei rapporti che ha con gli altri (Del Monte, 2002; Romanini, 1997b).
Utilizzare tecniche di fantasia permette al terapista di focalizzare l’attenzione sul mondo interno del giovane cliente, piuttosto che rimanere esclusivamente sul piano della sua realtà esterna (Arbuthnott e Arbuthnott, 1987).
Inoltre, il mondo della fantasia e delle favole affascina molto i ragazzi, per cui le storie inventate possono rivelarsi particolarmente efficaci nella costruzione dell’alleanza terapeutica, permettendo al contempo all’adolescente di giocare, sperimentare, esprimersi e comunicare.
L’invenzione di storie: apertura di un varco nel mondo interiore dell’adolescente
Questa metodologia si dimostra particolarmente valida nel lavoro con clienti che hanno difficoltà a comunicare i propri stati d’animo, i propri bisogni, o a parlare di sé e della propria vita. Infatti, la fantasia è di solito molto utile per aggirare le difese erette dall’individuo e per favorire una libera espressione di sé.
Con l’immaginazione il cliente può raccontarsi senza sentirsi costretto a farlo, portando alla luce aspetti profondi della propria esperienza.
Ciò è facilmente comprensibile se si considera che, con le favole piuttosto che con la realtà, il ragazzo affronta le sue problematiche in modo indiretto e non mostra le difficoltà che avrebbe nel parlare direttamente dei suoi problemi: la fantasia e la creatività fanno apparire l’innominabile (François Sacco, in Munari Poda, 1999), l’indicibile e l’impensabile dell’esperienza antica, intuita e sentita.
Ecco che l’adolescente apprezzerà il lavoro di fantasia, perché in modo inatteso lo allontana da domande sgradevoli e temute e gli consente di abbandonarsi alla creatività, per intraprendere avventure imprevedibili.
Il giovane cliente si trova a condividere con il terapeuta il suo mondo interno, fatto di paure, di rabbie e di speranze, un mondo di sentimenti e affetti che altrimenti rimarrebbe nascosto (Françoise Dolto, in Munari Poda, 1999).
Raccontando una storia inventata, si “autotraduce” e “spiega sé a se stesso“, “mette in scena” se stesso con modalità diverse da come ha sempre fatto, può rappresentare il suo dialogo interno ed aspetti importanti del proprio copione in una forma creativa, nuova e divertente.
Mentre intuisce se stesso, sta facendo qualcosa di nuovo per sé: riesce ad osservarsi da un’altra prospettiva e prende consapevolezza di sé e di nuove possibilità, inizia a percepirsi in modo nuovo ed il terapeuta diventa un “testimone” con il compito di “creare uno scenario affidabile e offrire un ascolto empatico” (Munari Poda, 1999).
È molto importante che il terapista non dia luogo ad interpretazioni del materiale prodotto dal cliente e che valuti se sia il caso o meno di riportare ciò che è frutto di fantasia alla realtà, perché, in alcuni casi, questo parallelismo può causare una fuga del ragazzo dalla terapia: talvolta l’intervento può essere ugualmente, se non più efficace, se si rimane al livello della fantasia, al livello delle metafore e dei simboli (linguaggio per l’emisfero destro: Gordon, 1978 e Watzlawick, 1980, in Magrograssi, 1982).
Inoltre, quando le resistenze manifestate dal ragazzo nel parlare delle sue difficoltà e della sua storia sono molto forti, gli si può chiedere di raccontare una storia in cui i personaggi siano degli animali, in modo da rendere ancora più indiretta e meno pericolosa l’espressione delle sue problematiche.
Adolescenza: periodo di crisi per trovare un nuovo equilibrio
L’individuo nell’adolescenza si trova in una specie di limbo, in cui si sente ancora bambino, ma sta cambiando qualcosa che urta con questa idea che ha di sé: è bambino e non più bambino.
Questa fase, quindi, rappresenta un periodo di crisi (Romanini, 1981), che presuppone una destrutturazione che porterà gradualmente il ragazzo a definire la sua identità, dando risposta alla domanda “Chi sono?“.
Si verifica una perdita del pregresso equilibrio che consente di rimettere tutto in gioco, per raggiungere un nuovo equilibrio e una ristrutturazione.
La tecnica delle favole risulta particolarmente efficace a questa età, in quanto può favorire questa ristrutturazione e stimolare la crescita verso lo stato adulto.
Con le storie inventate, il giovane cliente può ampliare le proprie opzioni d’identità, modificando le precoci decisioni su cui si basava la sua concezione di sé e dell’altro (Guarnieri, 1995; Di Vezza e Cesarano, 1994).
L’adolescenza è “un punto cardine decisivo… nel quale l’individuo rifiuta, o per lo meno riesamina, la propria valutazione di tutto ciò che è stato inculcato in lui, e acquista un punto di vista personale ed una posizione personale nella vita” (Piaget, 1954, in Di Vezza e Cesarano, 1994).
Favorire l’evoluzione e la crescita dell’adolescente con la creatività
L’analisi del materiale fantastico che il cliente porta in terapia, permette al terapista di identificare quali sono le sue potenzialità ancora inespresse: l’obiettivo sarà favorirne l’espressione attraverso la scoperta di nuove opzioni e nuove possibilità, che permettano al cliente di procedere verso la libertà, l’intimità e l’autonomia.
L’adolescente, infatti, non ha ancora dei tratti di personalità strutturati e consolidati, per questo può sviluppare con maggior facilità rispetto ad un adulto aspetti della sua personalità ancora in nuce, per raggiungere un equilibrio più soddisfacente per la sua vita, per sperimentare che può essere diverso da come è e che può “costruire” una nuova immagine di sé (Montuschi, 1987).
Attraverso la tecnica terapeutica delle favole, è possibile accedere alle linee di forza, alla creatività del giovane cliente, per consentirgli di sperimentarsi in modo nuovo ed esprimersi in maniera libera e spontanea.
Per ottenere questo risultato, può dimostrarsi molto efficace stimolarlo ad inventare uno o più finali diversi per la sua storia: sentirà così di esercitare un potere attivo sulla propria creazione (Del Monte, 2002) e “creerà” nuove opzioni di comportamento, pensiero e/o sentimento per un allargamento ed espansione del copione.
Affinché la favola si concluda con un finale felice, infatti, il cliente ha bisogno di acquisire nuove strategie, che vanno ad aggiungersi alla strategia che nell’infanzia gli ha consentito di sopravvivere nel suo ambiente familiare, ma che ora si rivela anacronistica ed incongruente.
La tecnica dell’invenzione di storie: possibili varianti
La tecnica delle favole può avere molteplici varianti: il ragazzo può inventare una storia tout court, ovvero può inventarla a partire da particolari personaggi che gli vengono presentati dal terapeuta, o ancora può eseguire un disegno e inventare una storia su di esso, oppure il terapista può fornire il titolo della storia che il ragazzo dovrà inventare, o ancora può fargli inventare uno o più finali per un racconto non finito.
La storia cominciata in una seduta può anche rimanere senza un finale, per essere continuata durante gli incontri successivi: in questo modo il copione rimane aperto a cambiamenti e a nuove aggiunte ed evoluzioni.
All’invenzione di storie e di finali diversi, può seguire un lavoro successivo in cui il ragazzo fa parlare e dialogare tra loro i vari personaggi della favola, magari disegnandoli, così da averli presenti anche visivamente, in modo che si manifestino le sue modalità relazionali limitanti e ripetitive e che si alleni ad interpretare ruoli, azioni e gesti nuovi e congruenti con le situazioni che rappresenta.
Conclusioni
Lavorare con le storie inventate, consente ai ragazzi di acquisire una nuova consapevolezza circa i propri comportamenti, pensieri e sentimenti copionali, ma soprattutto di allenarsi a pensare soluzioni diverse da quelle ripetitive abituali e di scoprire tutta una gamma di risposte emotive e comportamentali, che non solo non erano mai state sperimentate, ma non erano neanche state ipotizzate come possibili in situazioni di difficoltà.
Bibliografia
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Spitz, R.A., Wolf K.M. (1946), “Anaclitic depression”, in The psychoanalytic study of the child, 2, pp. 313-342.
Dott.ssa Claudia Cioffi
Psicologa e Psicoterapeuta Analitico Transazionale
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