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Grassofobia: di extralarge abbiamo anche il cuore

Storia culturale di uno stigma


La grassofobia è il pregiudizio verso le persone grasse, l’odio e la marginalizzazione che i corpi grassi subiscono.

A differenza di altri paesi, dove l’attivismo e i fat studies (disciplina sociale che studia ed analizza il modo in cui i corpi grassi vengono discriminati) sono più avanzati, in Italia il termine grassofobia ancora non è presente sul dizionario e il tema viene ancora percepito come “una discriminazione minore”.

Al contrario, in paesi come gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra il tema dello stigma del corpo grasso viene studiato e analizzato da anni per comprenderne le origini culturali e studiarne i legami con il razzismo, la misoginia e il sessismo.


La storia di Milena

Quando aveva diciannove anni, Milena decise di mettersi a dieta e, nel giro di soli sei mesi, perse ventidue chili, passando da una taglia 52 ad una 44.

Dopo mesi di dieta, palestra, sedute di spinning estenuanti, affondi, squat, bilancieri, eccetera, Milena era orgogliosa di sé, felice di essere, finalmente, come il mondo la voleva.

Entrava in negozi dove non era mai entrata prima e comprava quello che voleva: maglie dai colori sgargianti e vestiti che non avrebbe mai osato indossare.

I giorni in cui era costretta all’umiliazione di spostarsi nei “reparti da uomo” per comprare dei jeans alla moda o in cui si doveva accontentare dei colori tristi e deprimenti dei “reparti extralarge” erano finiti.

Finalmente era come tutti la volevano e dentro di sé pensava: “Nessuno mi dirà più nulla, adesso. È finita l’era dei commenti fuori luogo. Basta battute. Mai più occhi puntati addosso per colpa della mia stazza”.

Purtroppo, però, nonostante tutti gli sforzi fatti, non era ancora abbastanza.

Aveva ancora chi le diceva: “Posso consigliarti una dieta per buttare giù la pancia o degli esercizi per ridurre i fianchi?”.

In quel momento capì che non avrebbe mai fatto parte di quel mondo e che non c’era un limite alle critiche.

Per quanto fosse dimagrita, non sarebbe mai stato abbastanza.

Cosa fare quando dimagrire non è abbastanza?

E allora sapete cosa ha fatto?

Ha cominciato a fregarsene e a cercare un sistema per star bene con sé stessa, trovando, così, il modo di “spegnere” le critiche intorno a sé.
Ha capito che le critiche non smetteranno mai, ma se impari ad amare te stessa per quello che sei e a coltivare tutto quello che sei, le cose si sistemano.

Molti sono capaci di farti credere che il tuo “essere grasso” sia tutto quello che sei e tutto quello che gli altri potranno mai vedere in te, ma è falso. Se per molti continuerà ad essere così, per molti altri NO.

Lo scopo non è mettere a tacere il mondo intorno a te che non ti accetta, ma mettere a tacere quella voce dentro di te che ti ha convinto che hai qualcosa per cui scusarti e doverti sempre giustificare.

Quella voce è stata alimentata dall’esterno, ma puoi metterla a tacere dall’interno e per sempre.

Non hai bisogno di essere magro per essere felice.
Il tuo peso non identifica quello che sei.
Le tue azioni dicono chi sei.
E se desideri dimagrire fallo per te stesso, non per accontentare gli altri.

Sembrerà una frase fatta, ma chi ti ama ti accetta come sei.


Brittany Runs a Marathon

Qualche giorno fa cercavo un film da guardare sulla mia Fire Tv e per caso mi sono imbattuta sul film “Brittany non si ferma più”, titolo italiano della pellicola statunitense “Brittany Runs a Marathon” del 2019 del regista Paul Downs Colaizzo.

Convinta dalle innumerevoli recensioni positive ho iniziato a guardarlo, ma dopo neanche una ventina di minuti ho dovuto “stopparlo”, perché mi sono resa conto che stavo urlando contro il televisore.

Premetto che non intendo fare “un’analisi critica” dell’intero film o degli intenti del regista, ma prendere spunto da alcune rappresentazioni per raccontarvi altro.

In poche parole, il film racconta la storia di Brittany, giovane e grassa ragazza, che passa dall’essere in sovrappeso, sola, triste, svogliata, con pochi amici e senza amore, ad essere magra, realizzata e felice, dopo aver corso la maratona.

Lo stigma sulle persone grasse colpisce ancora

Adesso molti di voi potranno obiettare: quindi? Quale sarebbe il problema? La trama fila. L’evoluzione del personaggio è plausibile. Si tratta del classico “prima e dopo la cura”.

Tutto perfetto, no? Beh, la mia risposta è NO.

NO, perché basta pensare alle persone grasse come delle persone insoddisfatte di sé ed infelici. Basta pensare alle persone grasse come colpevoli e irrealizzate.

Non si può più credere e pensare che le persone grasse non possano avere una relazione d’amore romantica e soddisfacente. Vi dico solo che nel film la nostra protagonista “in versione grassa”, cioè prima della mutazione che le cambierà la vita, il massimo a cui può aspirare è uno squallido rapporto nel bagno di un locale notturno.

Ma sul serio? Stiamo scherzando, vero? Questa povera ragazza in sovrappeso non può aspirare a nulla di anche solo vagamente meno umiliante di un rapporto consumato in un gabinetto squallido e sporco?

Posso capire che tutto questo sia funzionale alla storia, ma ci rendiamo conto del messaggio che questo film fa passare?

Senza dubbio, una donna adulta guarda la storia in maniera critica e decide, se non le piace, di cambiare canale senza grossi scossoni per la sua psiche, ma un adolescente in sovrappeso che guarda il film, che messaggio recepisce?

Che se non dimagrisce al più presto, la sua vita sarà questa? Finire soli, tristi, con pochi amici, a fare dello squallido sesso nei bagni dei locali notturni?

 È una questione di salute

E adesso rispondo subito a tutti quelli che obietteranno “È una questione di salute”. È ovvio che bisogna privilegiare il movimento fisico, il mangiare sano e il benessere del corpo. Ed un corpo grasso è tutto il contrario di questo.

Beh, vi svelo un piccolo segreto.

Per alcune persone il raggiungimento di un corpo magro, inteso come quello che si vede sulle copertine dei giornali, può essere un ideale al quale aspirare, ma è una meta che non verrà mai raggiunta.
Così come la taglia 38 o 40 non è la taglia che rappresenta i corpi della stragrande maggioranza delle persone “comuni”. Per molti non lo è neppure la taglia 44.

I corpi sono diversi. La genetica è diversa.

Senza contare che dietro a gravi casi di obesità, spesso, non c’è “mancanza di volontà”, ma ci sono patologie psicologiche oppure mediche serie (disturbi ormonali o psicopatologie come il “Binge eating disorder”, tradotto “Disturbo da alimentazione compulsiva”) che il bullismo e la derisione contribuiscono solo a peggiorare e fomentare.

Chi osserva una persona affetta da anoressia sperimenta compassione. Chi ha chili di troppo, invece, diventa una calamita per giudizi e critiche. Nessuno si interroga su cosa si nasconde dietro quell’aspetto. Chi è anoressico è malato, mentre al polo opposto ci sono solo “persone pigre”, “incapaci di dimagrire”, “che non hanno spina dorsale”, “che non hanno volontà”. Questo terribile stigma sociale non fa altro che alimentare il disturbo, più delle calorie del cibo.

(da Psicoadvisor)

Grassi e colpevoli: è ora di cambiare

Quindi smettete di guardare alle persone grasse come persone di serie B, stupide, svogliate, trasandate e soprattutto colpevoli. L’essere grassi non è una nota di discredito. Non significa valere meno di una persona magra. Doversi accontentare. Essere soli o senza volontà.

È semplicemente una caratteristica del corpo, come essere alti o bassi, avere gli occhi azzurri o castani, i capelli ricci o lisci, semplicemente ci sono persone più magre e altre che non lo sono. Persone che portano una 44 e persone che devono indossare una taglia 50.

Smettete di deridere le persone grasse come se la loro fosse un’onta di cui si sono macchiate e per cui non stanno facendo nulla per porre rimedio e lasciate che imparino ad amare sé stesse, prima di accontentarvi diventando qualcosa che non sono pronte ad essere.

L’esperienza di chi è più grassa rispetto allo standard di bellezza è raccontata sempre con superficialità: siamo vittime del nostro appetito e buffe caricature. Il nostro adipe ci definisce, è come se fosse un tratto caratteriale: pigra, avida, goffa, imbranata, inetta.
Ma soprattutto, colpevoli… Non c’è comprensione, non c’è gentilezza, rispetto o dignità, perché essere grassa è una scelta comoda… la grassezza è stata raccontata come un fallimento della volontà e del carattere.

Le persone grasse vivono il biasimo degli altri continuamente, perché non possono nascondere quello che sono.
Il grasso è lì sotto gli occhi di tutti.

Quindi, nonostante cerchino di non attirare attenzione su di loro, non possono non subire commenti e critiche continue: da quelle che offendono, a quelle che vengono fatte “per il loro bene”.

Il paternalismo con cui si rivolgono a noi come se fossimo infanti che non sono in grado di scegliere il proprio bene … Tutto è lecito quando si tratta di fare del bene per queste povere anime ciccione … Ogni umiliazione, ogni micro-aggressione, ogni attacco sembra essere legittimo e meritato. Non solo chi subisce tutto questo lo percepisce come inevitabile, ma anche chi si erge a giudice morale si sente di dare un contributo impagabile alla società.


La grassofobia: specchio dei nostri giorni o stigma dalle origini antiche?

Uno degli errori più comuni, quando si parla di grassofobia, è credere che si tratti di un fenomeno recente, legato ai social network e al bullismo. Al contrario, l’odio per il corpo grasso ha radici ben più antiche che però sono arrivate pressoché intatte fino ai giorni nostri.

Così come si è portati a credere che lo stigma culturale associato al grasso sia emerso quando si sono scoperti i gravi pericoli per la salute che il grasso comporta.

Anche questo è falso: i documenti storici dimostrano che le connotazioni delle persone grasse come pigre, insaziabili, avide, immorali, senza controllo, stupide, brutte e senza forza di volontà esistevano già prima che si diffondessero i problemi di salute legati al sovrappeso.

Come il grasso è stato visto durante la storia

Pensate, addirittura, che per tutto il XIX secolo e per gran parte del XX secolo, i medici si curavano poco dei problemi legati al peso e la maggior parte di loro considerava naturale un suo aumento andando avanti con l’età.

Prima della fine del XIX secolo solo le persone privilegiate, in termini di ricchezza e di salute, potevano ingrassare. In seguito, con l’avvento dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, un numero sempre maggiore di persone ha raggiunto una stabilità economica, l’assistenza sanitaria è diventata migliore, la vita più sedentaria e il cibo più abbondante per tutti. Tutto questo ha significato che molte più persone potevano aumentare di peso e mantenerlo.

Durante questo passaggio, il grasso ha continuato ad essere un elemento che divideva le persone ricche da quelle povere, ma se prima era legato all’opulenza, adesso era associato alla bassezza e alla mancanza di autocontrollo.

Prima apparteneva alla classe aristocratica, adesso serviva ad identificare la classe media e i poveri: coloro, cioè, che avevano avuto accesso alla ricchezza e all’opulenza, ma non la sapevano gestire.

L’essere grasso non era più solo una caratteristica fisica, ma era divenuto marcatore significativo di inferiorità. Non era più solo uno stigma fisico, ma anche caratteriale.

Molte vignette satiriche e pubblicità del XIX secolo mostrano come il corpo grasso fosse utilizzato per rappresentare “corpi inferiori”, quelli degli immigrati, delle persone di colore, delle donne.

O al contrario, serviva a rappresentare persone “superiori” (bianche) cadute in disgrazia, come se il grasso rappresentasse un segno evidente della loro decadenza e della disgrazia che le aveva colpite.

Un esempio: la narrazione della decadenza di Britney Spears

È interessante come questo stigma sia giunto fino ai nostri giorni. Ne è un esempio quello che accadde nel 2007 alla famosa star del pop, Britney Spears.

Come spesso accade con personaggi famosi del suo calibro, anche con Britney, i media non si interessarono solo alla sua musica, ma passarono al vaglio anche la sua vita privata: l’adolescenza, i matrimoni, la decisione di avere figli.

Nel 2007 la copertura mediatica su di lei aumentò ancora di più perché la star fu coinvolta in “storie” di alcolismo, il suo matrimonio entrò in crisi e fu coinvolta in battaglie per la custodia dei figli.

Quello che ha di interessante questa vicenda non è tanto l’attenzione mediatica che tutti ci aspettiamo nei confronti di fatti scabrosi legati ad una celebrità come la Spears, ma come la “narrazione della sua decadenza” sia stata raccontata da molti media attraverso la “narrazione della decadenza del suo corpo”.

La Spears rappresenta in pieno l’icona della “ragazza bianca decaduta” e il grasso del suo corpo, insieme alle sue frequentazioni con “uomini neri”, come P. Daddy e altri rapper afroamericani, che rappresentano “la bassezza” e il “primitivo” sono la dimostrazione di questa “caduta verso il basso”.

Nonostante portasse solo una 46, molte riviste sottolineano come nelle sue performance “entrasse a stento nel reggiseno”…che il suo corpo “tremava come gelatina”…l’orrore della “pancia gonfia” che aveva ostentato.

Ovviamente, così come la grassezza ha segnato il suo declino, il suo ritorno ad una perfetta forma fisica ha poi scandito la sua rinascita.

“Mostrando il suo nuovo fisico abbronzato e tonico, sembra che Britney Spears abbia finalmente messo la testa a posto”, riportò il London Daily Mail nel maggio 2009. “È stato un netto contrasto rispetto all’anno scorso, quando fu vista in vacanza in Costa Rica ed era gonfia e fuori forma”.


La grassofobia e le donne

Purtroppo, lo stigma del corpo grasso ha trovato terreno fertile anche nelle dinamiche di genere.

Le donne erano considerate più propense degli uomini ad aumentare di peso e a non saper controllare gli eccessi della nuova vita moderna, proprio perché, per loro stessa natura, considerate deboli di volontà e incapaci di controllare i propri impulsi.

Inoltre, per le donne (in particolare per quelle “bianche”) mantenere il controllo sul peso era ancora più doveroso a causa della loro funzione educativa: era loro compito tenere a freno anche gli impulsi eccessivi dei propri figli e dei propri mariti.

Senza contare che ancora oggi si fatica a vedere come la cultura della dieta e l’ossessione per la magrezza sia uno strumento di controllo patriarcale.

Quello che intendiamo per bellezza femminile è ancora fortemente forgiato dallo sguardo maschile sui nostri corpi e sul ruolo delle donne nella società:

… dobbiamo essere discrete, prendere poco spazio, trasmettere delicatezza e fragilità… Un corpo grasso è sbagliato… mette in discussione tutto quello che il patriarcato si aspetta dal “sesso debole”… Questi concetti sembrano essere una minaccia sia per l’uomo medio che non accetta che qualcuno non desideri compiacere il suo sguardo, sia per tutte quelle donne che hanno sempre giocato seguendo le regole.


La grassofobia e il colore della pelle

Per le donne e gli uomini di colore, il discorso era diverso. Poiché già considerati appartenenti ad una classe sociale inferiore, la grassezza dei loro corpi era “normale” o in ogni caso non rappresentava una vergogna così grande come per l’uomo bianco.

È interessante, però, notare come questo sia cambiato in tempi recenti e da quando personalità di colore hanno fatto il loro ingresso nella sfera pubblica, fino alle più alte cariche dello Stato (si veda, ad esempio, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e sua moglie Michelle).

L’ingresso in un mondo da sempre monopolizzato dall’uomo bianco ha portato anche gli uomini e le donne di colore, che volevano far parte di quel mondo, a controllare il loro peso corporeo.

Anche per loro è diventato fondamentale mantenere un corpo magro. Come se la legittimità dell’appartenenza a quel mondo passasse anche attraverso il riconoscimento del loro corpo.

Se dalla fine del XIX secolo il grasso è servito per porre un confine tra ciò che è “primitivo” e ciò che è “civile”, tra “femminile” e “maschile”, tra “neri” e “bianchi”, tra povertà e ricchezza, tra omosessualità ed eterosessualità, tra passato e futuro, e se aumentare di peso significava perdere la propria posizione e cadere in basso nella gerarchia sociale, allora il suo contrario, cioè la perdita di peso, segna un’ascesa, un miglioramento morale e più prestigio sociale.

Se tutto questo è vero per i “bianchi”, è ancora più vero per uomini e donne di colore, che devono dimostrare “doppiamente” di poter appartenere a quel mondo.

I dettagli sugli allenamenti e le abitudini alimentari della famiglia Obama sono proliferati sui media per tutta la campagna elettorale e durante la presidenza. Numerose fonti (descrissero) Barack Obama come un “adolescente paffuto” che era poi dimagrito al liceo.

È evidente, quindi, che la grassofobia colpisce in modo mirato determinate categorie sociali. È altrettanto evidente che sia ora di cambiare questo paradigma.

* Tutte le citazioni virgolettate presenti in questo articolo, dove non diversamente indicato, sono tratte dal libro “Fat Shame: lo stigma del corpo grasso” di Amy Erdman Farrell, prefazione di Belle di faccia, edizioni Tlon, 2020.



Milena Capriuolo – Aspirante Giornalista | Editor | Email | LinkedIn Firma Autori

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