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L’inganno degli “open loop”

Come il lasciare le cose in sospeso causa stress al nostro cervello


La settimana scorsa dovevo prenotare una visita medica di controllo. Ho stampato l’impegnativa e l’ho messa in borsa dicendo a me stessa “lo faccio dopo“.

Poi la giornata è proseguita con i classici alti e bassi quotidiani e la sera, come un flash nella mia mente, si è materializzato il ricordo di ciò che avrei dovuto fare.

Ormai era tardi, quindi ho pronunciato un altro “lo faccio domani“.

Il giorno dopo ogni scusa era buona per rimandare nuovamente quella telefonata ma il pensiero di essa tornava ciclicamente nella mia testa come un open loop.

Gli open loop sono degli anelli aperti, ovvero un cerchio che non è stato chiuso, un’azione che è cominciata ma poi non è stata portata a termine.

È un po’ come se un tennista dovesse lanciare in aria la pallina, sollevare il braccio con la racchetta, inarcare la schiena quanto basta e compiere un movimento rapido ma all’improvviso l’azione si ferma prima che riesca a colpire la palla, come un fermo immagine.

L’avrà colpita o mancata?

Il nostro cervello non sopporta di avere qualcosa in sospeso.

Ogni volta che posticipiamo qualcosa di importante per lui è un affronto. Si offende e va in stress.

Continuerà a rimuginare su ciò che non ha portato a termine e consumerà energia come il ferro da stiro che avete dimenticato acceso una notte intera (sì lo so, solo l’idea del ferro acceso ti sta mettendo ansia).

In un modo o nell’altro, il nostro cervello farà in modo di dirigere il nostro pensiero a quella cosa lasciata incompiuta, distraendoci dall’attività che stiamo svolgendo in quel momento.

Da questo ragionamento risulta evidente come gli open loop provochino una gran perdita del nostro preziosissimo tempo.

Molte persone hanno la tendenza mentre stanno facendo qualcosa, a distrarsi di continuo, ad esempio telefonando, parlando con qualcuno, guardando la posta elettronica, dedicandosi anche a due o tre attività in una volta.

E così, si lasciano le cose a metà (un’altra volta) creando innumerevoli situazioni stressanti.


Perché lo facciamo?

Viene quindi spontaneo chiedersi, perché lo facciamo?

Una delle risposte a questa domanda è che il nostro cervello è attratto dalle novità ed è quindi portato a distrarsi.

Le recenti ricerche neuroscientifiche a cui fa riferimento il Professor David Rock nel suo libro Your brain at work, mostrano che perdiamo almeno due ore al giorno a distrarci, l’avreste mai detto?

Allo stesso tempo, il nostro cervello ama risparmiare energia soprattutto attraverso gli automatismi (come quando guidate in automatico fino al lavoro senza nemmeno accorgervi del tragitto).

Eppure, basta fare un piccolo esperimento: prendete nota di tutti i pensieri che vi passano per la testa in due minuti.

Prendete carta e penna e attivate il timer.

Resterete sorpresi del continuo lavoro che compie il nostro cervello in soli centoventi secondi.

Rimandare è un istinto da sempre, ma internet oggi ne è diventato il miglior alleato tra social e navigazione online.

Recentemente la psicologia ha iniziato ad interrogarsi con più attenzione su questo fenomeno, cominciando a trattare la procrastinazione come un problema sociale.

Nella maggior parte dei casi, essa è accompagnata da ansia o panico al solo pensiero di svolgere o iniziare quell’attività: in quel momento, tutte le azioni sono più confortevoli di quella e ci sarà un sollievo immediato.

Successivamente si capirà che questa è solamente una forma di autoinganno, perché il sollievo è una sensazione a breve termine anzi, aumenterà il carico di ansia, tensione, stress, sentimenti depressivi e autocritica.

Di conseguenza la spinta a procrastinare aumenterà.

La procrastinazione è una forma di evitamento, un meccanismo di difesa che ci permette di non entrare in contatto con quelle emozioni sgradevoli, una modalità che la persona ha trovato e che sceglie di utilizzare, per gestire uno stato d’animo poco piacevole.

Secondo lo psicologo Timothy A. Pychyl, la corteccia prefrontale del cervello gestisce il processo di acquisizione delle informazioni ed è anche deputata a prendere decisioni.

Tale processo però non è automatico, bensì è volontario.

Pychtl sottolinea come siano necessarie quindi la nostra attenzione e la nostra consapevolezza: se in quel momento non siamo coscienti o concentrati sui nostri compiti, il nostro sistema interiore (limbico) prenderà il sopravvento e finiremo per concederci ciò che ci fa sentire meglio, ovvero una dose di dopamina che accompagna la procrastinazione.

La procrastinazione se diventa la strategia preferenziale e quasi unica per non affrontare i compiti quotidiani, può allora essere sintomo di un disturbo psicologico o comunque avere conseguenze negative sul funzionamento quotidiano della persona.

Alla base della procrastinazione e del temporeggiamento ci possono essere vari timori o preoccupazioni, le cause più comuni sono:

  • Paura del fallimento. Si sente talmente forte il timore di un fallimento, che prima di avere conferma delle sensazioni di inadeguatezza che questo nasconde si preferisce procrastinare;
  • Paura del successo. Questo porta spesso all’auto sabotaggio. Sembra strano, vero? Eppure, molte sono le persone che hanno paura di farcela. I motivi potrebbero essere molteplici. Per prima cosa bisognerebbe chiedersi a cosa dovremmo rinunciare se riuscissimo in quell’obiettivo;
  • Troppa pressione e carico eccessivo. Se siamo sovraccaricati il cervello cercherà distrazioni, pause o attività rilassanti;
  • Obiettivi troppo alti. A volte ci scontriamo coi nostri limiti: l’obiettivo è davvero alla nostra portata?
  • Scarso interesse per il compito. Ci interessa davvero ciò che stiamo facendo?
  • Resistenza al cambiamento. A volte sappiamo che, facendo quella determinata cosa, andremmo a migliorare. Spesso potremmo avere però la sensazione di fare “un salto nel buio”. Sappiamo che ci farà stare bene, ma nella nostra testa non sappiamo come sarà e a volte rimanere dove siamo è più facile. Questo porta ad avere un blocco psicologico.

Come imparare a chiudere i cerchi

Per iniziare ad imparare a portare a termine i propri compiti è necessario abituarsi a pianificare.

Prendete un foglio, un’agenda, un quaderno e cominciate a scrivere i prossimi passi per la settimana.

Senza esagerare, non chiedete troppo a voi stessi.

Ragionate per piccoli obiettivi, poi smettetela di pensare e iniziate ad agire.

Pianificare le vostre attività può essere un’ottima idea, ma se continuate a programmare senza mai iniziare, state solo prendendo in giro voi stessi.

In questi casi, meglio fatto che perfetto.

Continuare a pensare ad un impegno, invece che affrontarlo, non fa altro che ingigantirlo.

Più trascorrete il tempo a pensare di fare invece che fare, l’impegno cresce fino a diventare impossibile da affrontare.

Sì, certo. Facile a dirsi…

Se non siete abituati può sembrare impegnativo.

Concentratevi sul primo passo.

Generalmente quando si definisce un obiettivo, pensare alla mole di lavoro da fare può gettare nello sconforto.

Spezzettate gli impegni grandi in tanti micro-obiettivi.

Un passo alla volta, fino alla fine.

Un’altra modalità utile può essere il fare delle liste: scrivete tutte quelle piccole cose che vi portano via massimo mezz’ora.

Poi, pian piano affrontatele una alla volta e depennatele dal foglio (vedrete che soddisfazione al termine!).

Ultimo consiglio, estremamente importante, alternate momenti di concentrazione intensa a momenti di totale relax, meglio se a contatto con la natura.

Una passeggiata in un parco, un tuffo nel mare, una pedalata in collina.

Il cervello ha bisogno di ricaricarsi e allo stesso tempo, di incanalare le energie in attività fisiche non troppo impegnative.

Per oggi è tutto, vi saluto con le parole di San Francesco D’Assisi:

Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.


Giulia Rota Biasetti Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Giulia Rota Biasetti
Life Coach e Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica
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