Le sirene di Ulisse
La nostalgia raccontata da Vinicio Capossela
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Le sirene ti parlano di te, di quello che eri come fosse per sempre. Le sirene non hanno coda né piume, cantano solo di te. L’uomo di ieri, l’uomo che eri a due passi dal cielo, tutta la vita davanti, tutta la vita intera. Dicono: fermati qua.
Con quanta dolcezza Vinicio Capossela, nel brano Le sirene contenuto all’interno dell’album Marinai, profeti e balene, racconta di quegli esseri mitici dai quali Ulisse avrebbe dovuto difendersi pena la morte, sua e quella dei suoi compagni.
Le sirene, infatti, con il loro canto soave, attirano i naviganti verso gli scogli, dove poi gli sventurati vanno a sfracellarsi, senza poter mai più fare ritorno a casa.
Ma il cantautore coglie nel profondo l’intento omerico di voler narrare la potenza della nostalgia, di quanto possa far male dover dire per sempre addio a quello che eravamo e non saremo mai più, e di come il passato, a volte, abbia una voce talmente suadente da trarci in inganno e da risucchiarci all’interno di un buco nero dal quale poi è difficilissimo riemergere.
Le sirene cantano a ciascuno di noi una melodia diversa, perché loro “sanno tutto di te, e il meglio di te”, conoscono ciò che non hai mai smesso di custodire gelosamente nel cuore.
Cantano le ombre del passato, chi abbiamo amato e ora non c’è più, i sogni e le possibilità, di quando la vita era ancora tutta intera e ci si offriva come una tavola imbandita da cui prendere i piatti migliori. Come resistere a questo struggente richiamo? Ed è così che Ulisse, uomo curioso ma estremamente furbo, prima di rimettersi in viaggio verso Itaca, fa tesoro dei suggerimenti di Circe e ordina ai suoi uomini di mettere nelle orecchie dei tappi di cera, in modo tale da navigare dritti verso casa senza lasciarsi imbrigliare dalla soave melodia del rimpianto.
Resistere alla nostalgia e tornare a casa
Ulisse, invece, vuole assolutamente sapere cos’hanno da dire questi esseri mitici, e per questo motivo lascia le sue orecchie libere di ascoltare.
Profondo conoscitore della propria anima, però, chiede ai compagni di legarlo bene all’albero della nave: sa che le sirene gli canteranno i fasti del suo passato glorioso, il tempo delle grandi imprese, di quando era un giovane eroe potente e rispettato.
Sa anche che gli mostreranno “quanto è mancato, quello che hai intravisto e non avrai”, facendogli credere che solo tornando a un improbabile ieri potrà ottenerlo.
Ulisse sa, come tutti noi, che ogni scelta è un lutto, che imboccare una strada significa precludersene altre, e a volte è possibile che rimanga il dubbio che un diverso concatenarsi di eventi ci avrebbe portato verso un posto migliore rispetto a quello in cui siamo.
Ma, soprattutto, le sirene “Ti cantano di come sei venuto dal niente e niente sarai”. Loro raccontano la giovinezza, non il declino di un uomo che si avvia stanco verso casa.
Come dire loro di no?
Nel solcare il mare Ulisse piange e strepita, vorrebbe cedere alla tentazione di andare verso quel dolce richiamo. Ma i suoi compagni, preventivamente istruiti, più lo vedono agitarsi e più stringono i legacci che gli tengono le mani e i piedi, cosicché, a poco a poco, questo “canto incessante e pieno di inganni” comincia ad allontanarsi, a essere percepito sempre più debole, e Ulisse a sentire finalmente la pace nel cuore.
Perché l’eroe greco è consapevole, nonostante il suo struggente desiderio, che “le sirene non cantano il futuro, ti danno quel che è stato”, e che il tempo non è gentile, e se si fa l’errore di fermarsi ad ascoltarle, si rischia di lasciarsi morire e di non tornare mai più a casa, a quel presente dove si canta di noi “adesso”.
Giulia Adamo
Autrice
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