Un breve elogio al passaporto europeo
Racconti di ispiranti viaggiatori extracomunitari
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Questo articolo vuole essere una messa in prospettiva e una presa di consapevolezza dell’importanza di possedere un passaporto europeo. Un elogio e un renderci conto della nostra fortuna in qualità di cittadini del mondo occidentale. Dico “nostra” e parlerò in prima persona plurale, includendo me e voi come potenziali lettori, in quanto la probabilità che a leggere il suddetto articolo sia uno studente di italiano del Botswana è infinitamente bassa. Nello specifico, porterò alcuni esempi di persone conosciute in giro per il mondo che mi hanno fatto rendere conto della mia fortuna di avere un passaporto europeo, e la loro sfortuna di essere nati in un luogo della terra il cui passaporto non permette loro di essere liberi.
Queenie, guida turistica vietnamita
La prima volta che mi resi effettivamente conto dell’importanza di possedere un passaporto italiano fu due anni fa, in Vietnam. Ai tempi e ancora oggi, il Vietnam è un paese visa free (senza necessità di visto) per i cittadini italiani, prima per 15 giorni, ora per 45. Questo significa che potenzialmente mi potrei svegliare una mattina, decidere di partire la sera per Hanoi, prendere un volo e atterrare nella capitale vietnamita qualche ora dopo senza necessità di richiedere alcun visto e attendere approvazione o meno dello stesso.
Lo stesso non vale per Queenie, per gli altri milioni di vietnamiti, e miliardi di persone che non sono nate nella parte fortunata del mondo. Queenie è stata la nostra guida turistica per trincee sotterranee in Vietnam, una ragazza carinissima, professionale, dolce e affabile. Parlava un inglese eccellente, a differenza di altri suoi coetanei aveva avuto la possibilità di studiare. Da anni sognava di visitare l’Italia e la Francia. Una sua amica viveva a Parigi, e Queenie voleva andarla a trovare e cogliere l’occasione per visitare un altro paese europeo. Aveva lavorato duro per finanziarsi il viaggio, ma una volta richiesto il visto le venne negato. Così anche la seconda, e la terza e via dicendo. Ogni volta le veniva negato per motivazioni differenti. La prima volta non disse che aveva un’amica a Parigi, così una ragazza sola vietnamita che viaggia in Europa – a parer suo col senno di poi, per giustificare la negazione del visto – avrebbe destato sospetti che sarebbe poi rimasta nell’Unione come clandestina. Così la seconda volta comunicò anche della presenza dell’amica, ma questo venne visto come un modo per non ritornare poi nel paese di origine in quanto si hanno dei cari nel paese d’arrivo. Insomma, le provò tutte e credo che le stia ancora tentando. Ma direi che questo incontro è stato illuminante, sia per me che per i miei compagni di viaggio con cui ero in Vietnam.
Karishma, influencer indiana
Karishma è un’influencer di Mumbai. La conobbi in una gita in barca in Thailandia, alle Phi Phi Islands. Come potete immaginare, un cittadino indiano che viaggia per piacere avrà sicuramente possibilità economiche di cui non tutta la popolazione indiana dispone. A differenza di Queenie, Karishma riesce a viaggiare di più, ma anche per lei l’Europa è ancora inaccessibile. Mi confessò di aver sbagliato a non fornire abbastanza documenti la prima volta che richiese il visto, e quindi venne rifiutato. Ma le volte successive, nonostante la presentazione di estratti conto per dimostrare le disponibilità economiche e altre miriadi di certificazioni, non ebbero esito differente.
Zhan, kazako
Zhan è un ragazzo di Almaty che ho appena conosciuto in Kazakistan, nonché quella persona la cui testimonianza mi ha ispirato a scrivere questo articolo, attingendo anche alle esperienze analoghe di Queenie e Karishma. Una sua amica altrettanto kazaka, grandissima fan dei Coldplay, aveva recentemente deciso di trascorrere le vacanze in Ungheria e partecipare al concerto dei Coldplay a Budapest. Per questo aveva richiesto un visto che fortunatamente le era stato accettato. A causa di imprevisti dell’ultimo minuto, si trovò costretta a modificare il suo itinerario e anziché volare direttamente a Budapest, dovette volare dapprima in Qatar e poi in Ungheria. Proprio per il fatto che arrivò con un numero di volo diverso da quello pianificato, all’aeroporto di Budapest la polizia di frontiera le revocò il visto senza possibilità di chiederne un altro.
Nonostante credo che la maggior parte di noi sia consapevole di quanto siamo fortunati, spero che questi esempi pratici possano commuovervi come è successo a me e dare un valore aggiunto al viaggio.
P.S. Sto finendo di scrivere questo articolo mentre le ruote dell’aeromobile su cui siedo frenano sull’asfalto uzbeko nell’aeroporto di Tashkent. Anche per questo paese non avrò bisogno di alcun visto. Non vale lo stesso per i cari amici uzbeki.
Andrea Ferri
Interprete | Traduttore | Nomade Digitale
Bio | Articoli | Video Intervista AIPP Febbraio 2024
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