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L’autenticità nella relazione di coppia

La comunicazione Non Violenta nei rapporti interpersonali


Che cos’è l’autenticità nei rapporti interpersonali? Quando sei realmente te stesso davanti all’altro?

Spesso riteniamo di essere noi stessi col nostro carattere e le nostre particolarità quando interagiamo con gli altri, mentre in realità la maggior parte delle volte interpretiamo quello che l’altro dice e fa sulla base del nostro bagaglio di esperienze, soprattutto quelle vissute nella nostra famiglia d’origine.

Questo ci porta ad avere comportamenti che non sono congruenti con quanto accade al momento, nel qui-ed-ora, bensì sono guidati dal nostro passato, sono una riedizione di comportamenti automatici e ripetitivi (in Analisi Transazionale si parla di copione: “un piano di vita che si basa su una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori…“; Berne, 1979).

Leggiamo la realtà con occhiali colorati e scambiamo la nostra percezione distorta con la verità.

Un esempio può facilitare la comprensione di questo concetto: una persona mi saluta in maniera frettolosa e io sono convinto che l’abbia fatto perché non sia interessata a me, che mi abbia salutato solo per una formalità.

Molto probabilmente è così che mi sono sentito in famiglia, poco degno di interesse.

Magari invece, se chiedo spiegazioni, potrei scoprire che quella persona mi ha salutato in maniera frettolosa, perché era in ritardo ad un appuntamento, o perché era reduce da una litigata con un amico e semplicemente non aveva voglia di parlare.

Rapportandoci agli altri in questo modo, non entriamo in relazione vera, intima, autentica e profonda. Non riusciamo ad esprimere noi stessi realmente per ciò che siamo.

Perdiamo spontaneità e i nostri comportamenti finiscono per essere solo re-azioni (e non azioni) difensive.

Berne (1964) sostiene che l’autonomia si conquista quando si recuperano tre capacità: consapevolezza, spontaneità ed intimità.

Per questo abbiamo bisogno di aprire gli occhi e di liberarci dalle influenze del passato, per reagire in reale autonomia ed entrare in relazione profonda e autentica con gli altri.


I conflitti di coppia

Tutte queste dinamiche disfunzionali si amplificano nelle relazioni di coppia, dove l’Altro è quello con la “A” maiuscola, la persona significativa con cui stabiliamo una relazione di attaccamento.

Questo tipo di rapporto di vicinanza fa riemergere e venire a galla ancora più prepotentemente il legame di attaccamento che abbiamo avuto in passato con i nostri genitori e tutte le conseguenti convinzioni, emozioni e i conseguenti comportamenti di là-e-allora.

La maggior parte delle persone pensa di essere autentica nella relazione, perché esprime in maniera diretta ciò che pensa e sente. Non sempre questa è autenticità.

Talvolta i nostri pensieri, le nostre emozioni e i nostri comportamenti sono in realtà copionali (cfr.il concetto di copione più sopra).

Ad esempio, una donna potrebbe sentirsi arrabbiata ed assumere un comportamento di ribellione nei confronti del proprio partner, qualora questi le chieda di non fare uscite serali con le amiche.

Entrare in scontro con l’altro esprimendo le proprie rimostranze e la propria rabbia, non rappresenta un comportamento autentico in questo caso, bensì non fa che accrescere il divario e la distanza affettiva.

Solitamente, infatti, un comportamento di ribellione è determinato da qualche credenza su di sé e sull’altro: ad esempio, in questo caso, la convinzione sottostante potrebbe essere quella di non essere considerata degna di rispetto da parte del proprio partner.

Una credenza che ha origini antiche nella vita di questa persona: molto probabilmente è così che si è sentita considerata in famiglia (questa è una sua percezione e attribuzione di significato dei comportamenti genitoriali, non necessariamente la realtà di ciò che i genitori pensavano di lei).

Pertanto, il suo comportamento non è congruente alla situazione attuale e risulta eccessivo rispetto a quanto sta accadendo.

Proprio in conseguenza di questa convinzione e delle emozioni di rabbia connesse, la persona ha bisogno di ritrovare un’immagine positiva di sé e di ritornare ad un equilibrio emotivo.

Per ottenere questo risultato però la reazione più frequente è quella di proiettare la colpa e l’inadeguatezza sul partner, giudicandolo in maniera negativa, criticandolo e attribuendogli la causa dei problemi contingenti: questo permette alla persona di “scagionarsi“, “buttando la zavorra” addosso all’altro, a discapito, tuttavia, della relazione affettiva.


L’autenticità nel rapporto di coppia

Per evitare che il rapporto con il partner rimanga solo una riedizione di vecchie dinamiche familiari e ripetitive e che resti in superficie, abbiamo bisogno perciò di imparare ad ascoltarci.

La Comunicazione Non Violenta (CNV) fornisce degli strumenti utili ad orientare la comunicazione, in modo da creare un rapporto di connessione profonda e intimità con l’altro.

Si tratta di un approccio sviluppato da Marshal Rosenberg nel 1960 che promuove un processo di comunicazione che consente di raggiungere maggiore autenticità, una maggiore comprensione reciproca e la risoluzione dei conflitti con gli altri.

Secondo l’approccio della CNV, innanzitutto, è importante assumere un comportamento di calma e disporsi all’ascolto dell’altro, aspettando prima di rispondere ed evitando comunicazioni ed azioni impulsive: rispondere in maniera calma e avere la pazienza di attendere la risposta dell’altro, senza controbattere subito.

Per riuscire in questo intento, c’è bisogno in prima battuta di prenderci cura di noi e di rimanere centrati su noi stessi e sul nostro valore, al di là di ciò che dice l’altro e delle colpe e dei giudizi che ci butta addosso.

In secondo luogo, Rosenberg (1999) ha elaborato un protocollo che prevede i seguenti quattro step da percorrere nella comunicazione non violenta:

  1. Osservazione: osservare ciò che sta accadendo in una certa situazione senza valutarlo o dare giudizi. Riprendendo il caso esemplificato più sopra, osservo che il mio partner mi chiede di non uscire con le amiche e, mentre formula verbalmente questo divieto, ha un’espressione del viso corrucciata.
  2. Emozioni: come mi sento in questa situazione? Sento di provare rabbia verso di lui.
  3. Bisogni: quale bisogno è sotteso a questa rabbia che provo? Solitamente quando si provano emozioni “negative” come la rabbia, significa che un nostro bisogno viene frustrato. Nel caso esemplificato, sento il bisogno di uscire con le amiche e di essere rispettata per questo desiderio che ho.
  4. Richieste: una volta presa consapevolezza dei precedenti tre aspetti, li esprimo chiaramente, formulando poi una richiesta esplicita: “Provo rabbia, perché sento il bisogno di uscire con le mie amiche stasera e di essere rispettata per questo. Saresti disposto a tollerare che io esca con loro questa sera?” oppure “Vorrei che tu accettassi che esca con le mie amiche una sera a settimana“. Le richieste vanno espresse in maniera chiara, concreta e positiva.

Connettersi con l’empatia

Spesso, per favorire la connessione con il partner, può essere importante invitarlo a condividere a sua volta quali sono le emozioni e i bisogni che lo spingono a comportarsi in un certo modo e a fare certe richieste.

È importante disporsi ad un ascolto attivo ed empatico di ciò che l’altro ci comunica, sospendendo il giudizio.

Per quale motivo non vuole che esca con le amiche? Come si sente e quale suo bisogno viene frustrato se esco con le mie amiche?

Una possibile spiegazione è che si senta triste e poi arrabbiato perché non vuole rimanere solo a casa, perché teme di non essere abbastanza importante per la sua partner e si convince che le amiche vengano prima in ordine di priorità rispetto a lui, o ancora perché teme che la sua partner possa tradirlo e allontanarsi (in questo caso entra in competizione con un eventuale altro uomo che potrebbe avere la meglio rispetto a lui).

Talvolta, possiamo favorire l’espressione del partner verbalizzando ciò che ipotizziamo stia vivendo a livello di emozioni e bisogni sottesi; questo aiuta a connettersi con lui, in quanto avrà la percezione che lo abbiamo compreso e ascoltato.

Per tornare all’esempio di prima, la donna potrebbe connettere empaticamente con il proprio partner rimandandogli quello che ha intuito: “Ti senti arrabbiato e vorresti che rimanessi a casa con te per farti compagnia?“.

A questo punto il partner potrebbe esprimere e condividere quelli che sono i suoi bisogni e i suoi vissuti per arrivare ad una richiesta e rivelare i motivi del suo comportamento, disvelando bisogni profondi.

Se emozioni, pensieri e bisogni dei due componenti della coppia vengono esplicitati, i due possono formulare le loro richieste e trovare un modo per soddisfare entrambi i propri desideri.

Tutto diventa chiaro ed esplicitamente espresso, niente è lasciato alla libera interpretazione. I partner hanno la possibilità di esprimersi in un dialogo che avvicina e connette profondamente a livello dei tre cervelli (MacLean, 1974), ossia a livello di pensiero (la parte cerebrale coinvolta è la neocorteccia, di più recente evoluzione), a livello emotivo (la parte cerebrale coinvolta è il cervello mammifero localizzato nel sistema limbico) e a livello degli istinti, delle sensazioni corporee e dei bisogni (la parte cerebrale coinvolta è il cervello rettiliano localizzato nel tronco encefalico).


Ascoltare se stessi per ascoltare l’altro

È chiaro che, per riuscire a connettersi profondamente con il proprio partner, bisogna in primo luogo imparare ad ascoltarsi e a connettere empaticamente con se stessi, a sintonizzarsi con le proprie emozioni e con i propri bisogni.

Solo quando riusciamo a fare contatto con ciò che stiamo vivendo al momento, possiamo poi porci in ascolto e fare altrettanto con l’altro.

Questo processo virtuoso permette di andare oltre alle semplici supposizioni dettate dalle proprie convinzioni su di sé e sull’altro, per comprendere ciò che realmente l’altra persona sta vivendo, per arrivare al cuore di ciò che si cela dietro alle apparenze.

È infatti solo con la costruzione di un dialogo vero e fondato sull’autenticità, fatto di condivisione di bisogni e vissuti, che dalla superficie si riesce a scendere in profondità per ritrovarsi in reciprocità.


Bibliografia

Berne E. (1964). A che gioco giochiamo, Bompiani.
BERNE E. (1979). “Ciao!”…e poi?, Bompiani.
MacLean P.D. (1974). A Triune Concept of the Brain and Behaviour, edited by T. J. Boag and D. Campbell, University of Toronto Press.
Rosenberg M. (1999). Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione nonviolenta, Esserci.


Dott.ssa Claudia Cioffi Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Claudia Cioffi
Psicologa e Psicoterapeuta Analitico Transazionale
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