“L’irrazionalità” dell’analfabetismo funzionale negli affetti
Prendo spunto da un fenomeno già ampiamente conosciuto e dilagante per fattori oggettivi, e come si vedrà non solamente, per descrivere quanto lo spostamento di piani intellegibili possa esistere e funzionare.
Mi dispiace iniziare con delle descrizioni oggettive, semantiche, ma ritengo che ciò sia necessario per chiarire subito la probabile confusione tra alfabetismo non consumato tout court e la sua applicazione nella gestione difficile degli affetti.
Ciò che è “funzionale” è di per sé descrittore della sua coerenza con quanto ad esso associato nella determinazione descrittiva, appunto.
Pertanto, funzionale è “razionale” nel senso di intrinsicamente provvisto di logica: quanto è funzionale per qualcosa è logicamente adatto per quel qualcosa.
Funzione, da cui funzionale, è “parola” (ossia, parla, dice) della matematica, della medicina, della filosofica, della psicologia, della filologia, della letteratura, della cibernetica, dell’informatica…
E’ parola di ogni altra “parola” che necessiti una spiegazione della sua applicazione.
E dunque, per rispettare lo spunto, cos’è l’analfabetismo?
Esso è l’incapacità di leggere e scrivere, perché non c’è stato apprendimento. Perché non ci sia stato apprendimento è tutt’altra storia.
L’analfabetismo funzionale ha più ho meno la stessa descrizione in più categorie: si considera tale l’incapacità di utilizzo di quanto si è appreso, ossia di quanto si sa in virtù dell’apprendimento.
Ciò che è stato appreso non viene utilizzato coerentemente o correttamente nello svolgimento delle attività sociali.
Rispetto al solo analfabetismo c’è l’apprendimento.
Stando alla mia analisi introduttiva, l’analfabetismo è detto funzionale per considerare “analfabeta” una persona che non lo è per possibilità di non essere tale. Ossia, la funzionalità “permette” ad una persona non analfabeta di esserlo.
L’impatto e la portata di tale fenomeno sono considerevoli, ma già altri scritti se ne sono occupati ed anche le varie cause che portano a tale fenomeno sociale non riguardano ciò di cui intendo scrivere.
Nel territorio dell’affettività ciò che è razionale (funzionale) non dovrebbe aver sede e, in suo luogo, dovrebbe esserci l’irrazionalità della spinta emotiva, ma non sempre è così – come anticipato e come più avanti descritto.
Irrazionale può essere considerato – esso è – contrario di funzionale per due motivi: nel senso di significato semantico contrario/opposto e nel senso che la funzione (il funzionale) ha una base cognitiva, mentre l’irrazionale no, non è cognitivo.
Dunque, l’irrazionale è, per definizione, in contrasto con la funzionalità, però ciò che è funzionale, ossia corretto per disposizione cognitiva, può essere anche irrazionale, ossia contrario alla disposizione stessa.
Esempio: il bel tempo è funzionale per una bella gita; se c’è bel tempo si va in gita, se piove non si va (aspetto cognitivo); però, anche se piove si può andare in gita, perché la pioggia non è in funzione della gita (aspetto irrazionale non cognitivo).
Ovvero, tutto va bene rispetto all’ottenimento dello scopo (andare in gita) anche in modo irrazionale (con la pioggia).
A proposito di irrazionalità, c’è un proverbio (credo napoletano) che recita:
fa lo scemo per non fare il soldato.
Bene, a parte la considerazione centrale dell’irrazionalità dell’uso della conoscenza, di questo ancora intendo scrivere, spostandomi ad altro piano a me più congeniale (quello psicologico).
Cioè, di quanto funzionale sia non saper né leggere né scrivere per non fare il “soldato” negli affetti. (nota: per affetto intendo tutte le modalità di attaccamento e, in particolare per questo lavoro, quello positivo).
Il soldato è chiunque non voglia fare o capire ciò che è scomodo fare o capire; è chiunque non voglia stare nel mezzo, nel gruppo, nella società.
Il soldato è colui che non ritiene che la pioggia sia funzionale alla gita in quanto egli stesso non è funzionale a. O, ancor più, è chiunque non voglia stare con se stesso o con l’altro suo intimo.
Al “volere“, a dire il vero, non serve avvicinare il solito “potere” perché non è vero che: “Volere è Potere” (Michele Lessona, 1869) e neppure è vero l’antico “velle est posse” di ugual significato, per stare ancora nei proverbi.
Mica sempre è così: entrambi verbi servili molto spesso sono nemici anziché fratelli (almeno in psicoanalisi).
Chi è in analisi sa bene quanto le istanze del volere e del potere facciano la loro bella vita tirando per la giacchetta il soldato ma sa pure che prima o poi (ovvero a difese fatte fuori) il soldato dovrà smettere di fare lo scemo.
Dunque, quante persone sono alfabetizzate ma non riescono ad utilizzare le loro conoscenze? Parecchie. Ed è per questo che sono “analfabete“.
Nella concretezza dell’argomento, mi riferisco a persone psicologicamente immature affettivamente e ad un certo tipo persone narcisistiche, assumendo semplicisticamente che entrambe le categorie personologiche abbiano difficoltà a districarsi con gli affetti, ovvero con l’attaccamento a qualcuno.
L’immaturità non sempre corrisponde alla mancanza di conoscenza dell’alfabeto affettivo-amoroso, a volte molto più facilmente corrisponde alla patologia di non poter utilizzare tale alfabeto.
Se si utilizzasse, si dovrebbe fare il soldato, ossia buttarsi nella mischia della vita e….. come viene fino a prova contraria (come tutti coloro che usano le parole apprese).
L’incapace affettivo è troppo cognitivo, e dunque funzionale, perché passa in rassegna costi e benefici di tutte le azioni, comprese quelle che non dovrebbero avere bilanci così precisi.
Ulteriore prova di quanto questi soggetti troppo ancorati al concreto abbiano difficoltà a portarsi nel regno dell’emotività, ossia dell’irrazionalità. (verticalmente, come gli affetti richiedono).
Confermo: la difficoltà con i sentimenti impedisce lo spostamento nell’irrazionalità e, dunque, occasioni di affetto, se non di amore.
Chiunque ami o abbia amato sa quanto irrazionale siano le emozioni e il sentimento. Un altro discorso è la pianificazione verso la solidità del rapporto, che è cognitiva e richiama il senso di Sé e altre numerose ed importanti istanze.
Allora perché la funzionalità del non saper né leggere né scrivere gli affetti alla fin fine diventa irrazionale? Ossia, perché perde la cognizione (l’utilità) di stare ancorati ad un processo del buon conto?
Diventa irrazionale perché le emozioni della paura e altre simili prendono l’avvento al punto da paralizzare la relazione o l’incipit verso un approccio o fanno ricorrere alla mistificazione di ciò che si prova.
Buttarsi o non buttarsi concretamente è fatto cognitivo che non riguarda la categoria degli incapaci relazionali.
Chi sa leggere e scrivere, in genere sa cosa fare.
E’ irrazionale nel senso di un errato spostamento di essa: si ribalta il senso, lo scopo attraverso questo processo: “quello che so è funzionale al poter amare, però dimentico o non utilizzo quello che so così posso non amare” (trionfo delle difese).
L’irrazionalità sta proprio in questo meccanismo di difesa rispetto a ciò che universalmente sarebbe da fare (amare).
Vorrei fare un piccolo inciso: io sto intendendo la funzionalità della conoscenza non agita nella sfera dei sentimenti e intendo sottolineare che questa sfera, con poche altre, può offrire lo spazio del capovolgimento. Non altro.
Si passa da essere alfabetizzato a non esserlo per la ragione di non volerne sapere della chiamata intima dell’appassionarsi, e non solo di quella sociale.
In conclusione, l’alfabetismo diventa inidoneo, inadeguato, irragionevole, non funzionale, dunque: irrazionale.
Dott.ssa Grazia Aloi
Psicoanalista | Psicoterapeuta | Sessuologa
Bio | Articoli | Video Intervista
……………………………………………………………..