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Dissonanza cognitiva

Alla ricerca di coerenza


«Spinta dalla fame, una volpe tentava di cogliere un grappolo d’uva su un’alta pergola, saltando con tutte le sue forze. Come si rese conto di non poterla raggiungere, allontanandosi esclamò: “Non è ancora matura; non voglio coglierla acerba”. Coloro che sminuiscono a parole ciò che non sono in grado di fare, devono applicare a se stessi questo esempio.» La volpe e l’uva, Fedro

La favola della volpe e dell’uva è sicuramente nota alla maggioranza dei lettori. Il testo riportato è la traduzione della versione latina di Fedro, De vulpe et uva, ma la favola originale è attribuibile all’autore greco Esopo, uno dei più noti scrittori di favole.

La morale della favola, nonostante affondi le sue radici in tempi remoti, è del tutto valida ai giorni nostri, tanto da aver assunto le vesti di un vero e proprio proverbio. Fare come la volpe con l’uva significa infatti svalutare il valore di una vittoria mancata, o sminuire un obiettivo che non si è stati in grado di raggiungere. L’attualità di questa morale è quindi attribuibile all’universalità dell’atteggiamento umano che essa mette a fuoco.

Quanto detto è ulteriormente dimostrato da un concetto importante, in particolare nell’ambito della psicologia sociale: la dissonanza cognitiva.


Che cos’è la dissonanza cognitiva?

La dissonanza cognitiva è un concetto molto ricorrente in psicologia sociale, è stato indagato e formalizzato dallo psicologo sociale americano Leon Festinger (1919-1989).

La definizione di Festinger

Secondo Festinger un individuo si trova in una situazione di dissonanza cognitiva nel momento in cui sperimenta un senso di disagio dovuto all’aver messo in atto un’azione incoerente con il proprio atteggiamento interiore.

È bene specificare che con il termine atteggiamento si intende un insieme di convinzioni relative a un oggetto di atteggiamento, cioè una persona, una cosa, un evento o un tema. Gli atteggiamenti possono essere positivi, o negativi, o anche semplici opinioni su alcuni temi. D’ora in avanti, ogni volta che utilizzerò la parola atteggiamento è da intendersi in questi termini.

Cosa succede quando si sperimenta la dissonanza cognitiva?

Come abbiamo detto, lo squilibrio interiore che si genera quando si agisce in maniera incoerente con i propri atteggiamenti, prende il nome di dissonanza cognitiva. L’incoerenza percepita può essere legata a logiche interne, a un contrasto con le norme culturali, o con qualche esperienza precedente.

Nel momento in cui l’individuo sperimenta il senso di disagio dentro di sé, sente l’esigenza di ristabilire una coerenza tra il proprio atteggiamento interiore e il proprio comportamento. Di conseguenza cerca un modo di farsi una ragione di quanto avvenuto, raccontandosi una nuova e più consona versione dei fatti, che consente di riequilibrare la dissonanza.

Semplici esempi di dissonanza cognitiva

Nel caso della volpe lei vorrebbe prendere l’uva, ma non riesce a raggiungerla sulla pergola, allora racconta a se stessa che l’uva non è ancora matura e che quindi non vuole più raccoglierla. Una versione consona dei fatti che equilibra la dissonanza.

Un altro esempio potrebbe essere un individuo fumatore che viene a conoscenza di alcuni studi scientifici che dimostrano che il fumo uccide. Il senso di disagio deriva dal contrasto tra il comportamento messo in atto (fumare) e la conoscenza degli studi, quindi per ristabilire una coerenza interna l’individuo potrebbe convincersi che queste ricerche non sono realmente scientifiche.

Verità scomoda o bugia confortante?

Il cartello del bivio “verità scomoda” o “bugia confortante” riassume significativamente quanto detto finora. L’individuo che agisce in modo incoerente con i propri atteggiamenti e che percepisce uno squilibrio interiore, sarà indotto a cercare di risolvere la dissonanza percepita.

Noi esseri umani tendiamo a ricercare sempre coerenza e stabilità, dunque come reagire a un contrasto del genere? Davanti al bivio verità scomoda o bugia confortante la direzione sarà, ahimè, quella della bugia confortante. Quindi si muterà il proprio atteggiamento affinché coincida con il comportamento già messo in atto.

È bene specificare che la dissonanza cognitiva emerge solo nei casi in cui l’atteggiamento precedente all’azione sia molto forte e sentito dal soggetto, nei casi in cui esso sia debole non si avvertirà alcuna discrepanza e nessun sentimento di disagio.


Gli esperimenti di Festinger sulla dissonanza cognitiva

Festinger e il suo gruppo di colleghi hanno compiuto diversi esperimenti funzionali all’elaborazione della Teoria della dissonanza cognitiva. I due studi più famosi, di seguito riportati, sono a mio avviso peculiari.

Studio sui “Cercatori” (Festinger, Riecken e Schachter, 1956)

I Cercatori erano una piccola comunità apocalittica di ufologi che viveva a Minneapolis, in Minnesota. Essi sostenevano di aver ricevuto dei messaggi da parte dei Guardiani del pianeta Clarion: costoro avrebbero punito l’umanità per i suoi peccati e annunciavano la fine del mondo, il giorno del solstizio del 21 dicembre 1954. I Guardiani avrebbero anche annunciato che solo la comunità dei Cercatori, gli unici veri credenti, sarebbe stata messa in salvo.
Durante il giorno predestinato tutti i membri del gruppo si recarono in un parcheggio dove i Guardiani sarebbero venuti a salvarli e trasportarli sul loro pianeta, prima della fine del mondo.

Ovviamente non successe nulla di quanto annunciato.

Festinger e il suo gruppo intrapresero un’indagine basata sull’osservazione partecipante e seguirono tutti gli aspetti della vicenda. Secondo Festinger, dunque, trascorso il 21 dicembre, i Cercatori si sarebbero trovati in uno stato di incoerenza, ovvero dissonanza cognitiva.

Sarebbe stato logico, per la comunità di ufologi, abbandonare le proprie credenze, essendosi dimostrate false, ma il risultato fu l’esatto opposto. I Cercatori infatti abbracciarono ancor di più la loro fede, sostenendo che grazie alla loro volontà di credere e alla testimonianza che ne diedero, i Guardiani si convinsero a non scatenare la fine del mondo e a salvare con loro, l’intera umanità.

Lo squilibrio dovuto alla dissonanza fu dunque bilanciato da una più consona versione dei fatti, nonché una bugia confortante. I Cercatori mutarono le loro convinzioni a posteriori, per farle coincidere con il comportamento già messo in atto. Una vicenda curiosa e non così inattuale che, approcciata con un valido metodo di studio, ha consentito di mettere a punto i primi dati per elaborare la teoria.

Esperimento “20 dollari per una menzogna” (Festinger e Carlsmith, 1959)

Questo esperimento è stato condotto in laboratorio: i partecipanti dovevano portare a termine due compiti noiosi, cioè svuotare e riempire un vassoio con rocchetti di filo e poi girare quarantotto mollette di legno su un ripiano, a ripetizione. Il compito veniva eseguito per un’ora, dopodiché veniva chiesto a ciascuno di loro di dire al partecipante del turno successivo che si trattava di una prova divertente e piacevole. Festinger, all’insaputa dei partecipanti, ideò tre gruppi:

  • Primo gruppo: ai candidati non si chiedeva di mentire e non veniva offerto denaro.
  • Secondo gruppo: i candidati dovevano mentire ai partecipanti successivi e ottenevano la ricompensa di un dollaro.
  • Terzo gruppo: i candidati dovevano mentire ai partecipanti successivi e ottenevano la ricompensa di 20 dollari.

Una volta conclusa questa fase, veniva infine chiesto ai partecipanti dei tre gruppi di rivelare il loro reale atteggiamento verso il compito. Dovevano quindi dare la loro valutazione della prova che avevano svolto durante l’ora di esperimento.

I risultati furono sorprendenti perché variavano significativamente in funzione delle bugie dette e del denaro ricevuto:

  • Primo gruppo: valutarono il compito molto noioso, in maniera più negativa degli altri due gruppi.
  • Secondo gruppo (un dollaro): valutarono il compito relativamente divertente, dunque più piacevole rispetto al primo gruppo.
  • Terzo gruppo (20 dollari): valutarono il compito abbastanza noioso, ma non al livello dei giudizi espressi dal primo gruppo.

Quindi, nella fase di valutazione finale, solo il gruppo di partecipanti che ricevette un dollaro per mentire valutò positivamente il compito. Queste persone, verosimilmente, non trovarono in questo scarso guadagno una giustificazione adeguata all’aver detto una bugia. Perciò misero in atto una risorsa spontanea: cambiarono a posteriori il proprio atteggiamento reale e si dichiararono divertiti dall’esperimento, proprio per risolvere la dissonanza.

Al contrario coloro che ricevettero 20 dollari ebbero una giustificazione adeguata per accettare la propria menzogna: per tale cifra poteva valere la pena dire una bugia, dunque la discrepanza venne risolta da questa consapevolezza e la valutazione finale risultò inalterata.


I fattori che influenzano la dissonanza cognitiva

Per concludere, ci sono tre fattori fondamentali che influenzano la dissonanza cognitiva: giustificazione, scelta e investimento.

La giustificazione

Tutti noi ricorriamo a delle giustificazioni per dare una spiegazione a un comportamento incoerente con il nostro atteggiamento. La giustificazione consente di chiarire a se stessi il motivo della discrepanza e dunque non obbliga a modificare l’atteggiamento.
Nel caso dell’ultimo esperimento, coloro che guadagnavano 20 dollari si fornivano come giustificazione il fatto che guadagnare questi soldi fosse una ragione adeguata per mentire.

La libertà di scelta

Nel momento in cui siamo obbligati a fare qualcosa e viene meno la nostra libertà di scelta, si costituisce una spiegazione a ciò che facciamo venendo meno alla coerenza con i nostri atteggiamenti.

Per esempio, pensiamo a una persona che è contraria all’utilizzo delle stoviglie in plastica monouso. Nella mensa dell’azienda per cui lavora il cibo viene servito solo in piatti di plastica e con posate usa e getta. La dissonanza che emerge da questa incoerenza trova spiegazione nell’impossibilità di scegliere di poter fare diversamente: o usa quei piatti in cui lo obbligano a mangiare, oppure non mangia.

L’investimento

Individui molto convinti del proprio punto di vista, che investono moltissime risorse nel proprio atteggiamento, andranno incontro a effetti maggiori di dissonanza cognitiva. Infatti, la coerenza risulta ancora più importante per chi crede fermamente nei propri pensieri e intenzioni.

Per esempio, un calciatore crede fermamente nella sportività, tanto da essere il portavoce di una campagna pubblicitaria contro i comportamenti scorretti in campo. Durante la finale di campionato si ritrova a fare un fallo volontario per evitare il pareggio, a pochi minuti dalla fine. Dovrà necessariamente trovare una motivazione che equilibri questa incoerenza, per esempio sostenendo che è giusto giocare correttamente finché non è messa in ballo la vittoria finale della stagione.


Conclusione

In conclusione, ci terrei a sottolineare che mettere a fuoco questo meccanismo non deve essere fonte di preoccupazione, né di repulsione: si tratta di un normale funzionamento che riguarda qualsiasi individuo.

Dal mio punto di vista può essere utile riconoscerlo e allenarsi a farci caso, per assumere uno sguardo di maggiore consapevolezza e lealtà verso se stessi!

D’altronde ogni meccanismo interiore di cui ci rendiamo consapevoli può essere un passo di maggiore conoscenza di sé e quindi una potenziale fonte di miglioramento.


Bibliografia

Crisp, R. J., & Turner, R. N. (2017). Psicologia sociale.
Perussia, F. (2015). Storia della psicologia. Manuale di scienze della mente.


Silvia Merciadri Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Silvia Merciadri
Dott.ssa in Scienze e Tecniche Psicologiche | Articolista | Docente di Storytelling
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