Come l’irrisolto ci tiene agganciati: l’effetto Zeigarnik
L’importanza di chiudere un capitolo per iniziarne un altro
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Ti è mai capitato di avere una parola sulla punta della lingua ma di non riuscire a pronunciarla? Il nome di un attore o il titolo di una canzone? E di aver concluso una conversazione con un senso di incompiutezza tale da risultare fastidioso? Una specie di ronzio nella testa che non ti ha permesso di concentrarti appieno sulla tua attività successiva?
A volte dobbiamo dar tregua al nostro cervello e permettergli di concentrarsi su altro, in modo tale che possa continuare a “lavorare da solo”, lontano dalla nostra consapevolezza, fornendoci in questo modo la risposta che stavamo cercando.
Quando qualcosa non si conclude dentro di noi, si ha come la sensazione di non poter andare avanti, come se nei nostri processi mentali ci fosse una sorta di impasse che ci lascia sospesi sul nulla, senza darci la possibilità di prendere una qualsiasi direzione.
Questo particolare fenomeno è detto Effetto Zeigarnik e deve il suo nome alla psicologa lituana Bluma Zeigarnik, la quale, trovatasi una sera a cena in un ristorante molto affollato, si rese conto che i camerieri riuscivano a tenere a mente un numero impressionante di ordinazioni, finché queste non venivano completamente evase. Una volta che le pietanze arrivavano sulla tavola dei commensali, le richieste cadevano totalmente nel dimenticatoio; invece, se per un qualsiasi motivo, i piatti non giungevano a destinazione, venivano ricordati dai camerieri anche dopo molto tempo.
La psicologa volle approfondire questo particolare fenomeno in laboratorio e arrivò alla conclusione che, quando un’attività non viene portata a termine, nella nostra mente si crea uno stato di tensione tale da non permetterci di iniziarne un’altra. Di conseguenza, se si vuole cominciare un nuovo compito in tutta serenità, è importante concludere in qualche modo quello a cui ci eravamo dedicati precedentemente.
Cos’è l’effetto Zeigarnik
La psicologa lituana nel 1927 pubblicò uno studio effettuato su diversi soggetti, ai quali vennero somministrati una ventina di esercizi da completare (enigmi, giochi, problemi aritmetici). Metà dei partecipanti ebbe la possibilità di risolvere i compiti che gli erano stati assegnati, mentre gli altri furono invitati a interrompere quello che stavano facendo e a dedicarsi a un’altra attività.
Dopo un’ora, Zeigarnik chiese loro cosa ricordassero delle azioni che avevano interrotto e di quelle che avevano portato a termine: risultò che i partecipanti avevano tenuto maggiormente in memoria gli esercizi non conclusi rispetto a quelli completamente risolti.
In pratica, l’effetto Zeigarnik consiste nella tendenza a ricordare maggiormente le azioni che non sono giunte a conclusione rispetto a quelle completate. Quando si intraprende un’attività, gli individui sono infatti motivati a portarla a termine, ed è questa motivazione, nel caso in cui l’attività venga interrotta, a determinarne un ricordo più profondo. Questo vale per tutto: dal check completo della lista della spesa al chiarimento di malintesi con le persone care.
L’effetto Zeigarnik è il fenomeno psicologico alla base dell’espediente narrativo utilizzato in letteratura e al cinema noto come cliffhanger, ovvero delle brusche interruzioni che portano il lettore e lo spettatore a sviluppare un’intensa curiosità nei confronti dei prossimi sviluppi della trama.
I narratori esperti sanno fare un uso sapiente di questa strategia, consapevoli del fatto che la suspense terrà gli spettatori – o i lettori nel caso dei romanzi – incollati allo schermo, frementi di sapere quanto prima come andrà a finire la storia.
Ci sono poi alcune vicende sulle quali non si fa mai del tutto luce, e questo è sicuramente un ottimo modo per lasciarci con un senso di inquietudine, di cliffhanger ending appunto, un finale sospeso che continuerà a girarci e a rigirarci nel cervello, imprimendosi profondamente nella nostra memoria.
L’effetto Zeigarnik nella vita quotidiana
Essere consapevoli di questo particolare meccanismo messo in atto dalla nostra mente può aiutarci moltissimo nella gestione dei piccoli e dei grandi problemi quotidiani.
Per esempio, l’effetto Zeigarnik è strettamente connesso con il time management: chi tende a procrastinare, infatti, per risolvere – o quanto meno ammortizzare – questo problema, non deve far altro che iniziare un’attività. Ci penserà poi l’effetto Zeigarnik a fargliela portare a conclusione. Ovviamente ciò è possibile se non si tratta di un compito particolarmente complesso: in quel caso troveremo molte valide scuse per abbandonarlo!
Per ovviare a questa difficoltà, nel caso in cui ci ponessimo dei traguardi ambiziosi, possiamo dividere il percorso in tanti micro-obiettivi abbastanza semplici da raggiungere: la frustrazione creata dall’effetto Zeigarnik ci invoglierà a portarli a termine, evitandoci quella ancora più grande di rimanere nel limbo dell’inconcludenza.
Pur basata sullo stesso principio, è forse la sfera delle relazioni umane quella in cui l’effetto scoperto dalla psicologa lituana è sentito con maggiore intensità. Avere un irrisolto con qualcuno, infatti, soprattutto se si tratta di una persona cara, e ancor di più se abbiamo interrotto i rapporti con lei, ci può portare a vivere questa sospensione con grande disagio, spingendoci a rimuginare continuamente su ciò che è andato storto.
Il fatto di non riuscire a stabilire chiaramente delle cause o delle responsabilità può alimentare dei sensi di colpa, con probabili danni sulla nostra autostima e sulla nostra capacità di voltare pagina e andare veramente avanti.
È quindi consigliabile, per quanto possibile, confrontarci con le persone a cui teniamo: in questo modo avremo la possibilità di comprendere le loro motivazioni e di comunicare le nostre. Questo confronto potrebbe determinare un riavvicinamento, ma anche un distacco definitivo: quello che conta è che comunque, dentro di noi, la storia si sia finalmente conclusa, lasciando in questo modo lo spazio per le altre che verranno.
Giulia Adamo
Autrice
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