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Il mantenimento della “stupiditá”

Ipotesi e riflessioni sulle cause dei comportamenti irrazionali


Perché l’essere umano continua imperterrito a riproporre sempre le sue solite azioni stupide? Perché continua a pensare e a credere false verità che non sono altro che fonte di sofferenze per se stesso e per gli altri?

Non sto dando dello “stupido” a persone che non capiscono e comprendono determinati aspetti di se stessi o della realtà circostante, ma con questa parola volevo mettere in evidenza l’irrazionalità di determinati comportamenti che non portano giovamento né a se né al mondo circostante.

In questo articolo propongo delle ipotesi di motivazioni per cui si agisce in tale maniera e nel fare questo ripercorrerò quanto già scritto in un mio libro[1] oltre ad nuove ipotesi specifiche per questo lavoro.

In realtà l’articolo è diviso in due parti[2], infatti nella prima mi soffermo sulla motivazione del mantenimento delle false credenze negative su se stessi e nella seconda affronterò lo stesso processo applicato però alle credenze socio-politiche.


Il mantenimento delle false credenze su se stessi

Come presupposto a tutta la riflessione che sto per esporre bisogna porre il concetto che ogni azione umana, anche la più “stupida”, si basa in realtà su una presunta strategia vincente, cioè ogni azione di ogni individuo viene attuata nel tentativo di ottenere il massimo beneficio (Watzlawick 1967, 1983).

Il problema è che molto spesso queste strategie credute come vincenti producono di fatto effetti negativi.

Per quale ragione quindi si continua a mantenere e reiterare una strategia perdente?

La risposta a ciò ha le sue origini nell’infanzia.

La famiglia

I bambini di tre/quattro anni, per potersi spiegare ciò che avviene ed avere l’illusione di controllare il proprio ambiente, organizzano gli accadimenti in storie (White 1992). Queste “storie” però nascono all’interno di un laboratorio “chiuso”: la famiglia.

E non è detto che tutti i laboratori “lavorino al meglio”, ma il bambino, come l’adulto, è tendenzialmente “conservatore” e sarà quindi propenso a raccontare sempre un’unica storia, un unico modo di stare nel mondo, anche se può risultare disfunzionale, perché l’immutabilità è l’elemento chiave su cui si basa la continuità dell’Io, il riconoscimento del proprio Sé: le persone si affezionano a ciò che le fa soffrire, perché è funzionale al mantenimento del proprio senso di identità intesto come continuità narrativa e autobiografica (Salvini e Nardone 2011).

Tutte le convinzioni (positive o negative) devono perciò durare nel tempo per sostenere la costanza della propria identità nel tempo.

Nel corso degli anni accumuliamo una miriade di convinzioni e pensieri distorti su noi stessi e sulla “realtà esterna[3]: le convinzioni negative verso se stessi, ovvero i “Pregiudizi di Base”, come li ho definiti nel mio libro, nascono e si sviluppano all’interno della famiglia di origine e si riferiscono per esempio a pensieri quali “Non sono all’altezza”, “Non sono in grado di…”, “Non sono degno di essere amato” “Non sono affascinante, attraente” e così via.

Le persone però non percepiscono questi pensieri come pregiudizi, ma come veri e concreti è ciò è naturale per diversi motivi che ora descriverò.


Le motivazioni che sostengono il mantenimento dei Pregiudizi di Base

La percezione degli stati emotivi

La prima motivazione è legata alla percezione quasi fisica che gli stati emotivi hanno direttamente sul nostro corpo (stretta allo stomaco, tachicardia, pressione alle tempie, ecc.).

Ciò porta a legittimare e confermare che le emozioni ed i pensieri conseguenti ad esse conseguenti siano reali e non apparenti e relazionalmente costruiti.

Il tempo

La seconda è associata al tempo.

Normalmente i Pregiudizi di Base (che abbrevieremo in PdB), formandosi nei primi anni di vita, “accompagnano” l’individuo per gran parte dell’esistenza (troppo spesso per tutta).

Ma un evento o un concetto reiterato a lungo nel tempo generalmente assume un valore di verità indipendentemente dalla sua reale oggettività e ciò si applica anche alla narrazione e descrizione del proprio Sé.

Resistenza allo stress

La terza riguarda la sopportazione allo stress.

Quante volte di fronte ad uno stress (piccolo o grande che sia) si capitola per stanchezza e mancanza di energia?

La resistenza allo stress non può durare all’infinito, prima o poi si cede e ciò è tanto più vero quanto più lo stress è pesante.

Lo stesso ragionamento si può applicare alla formazione dei PdB, in quanto, tendenzialmente, si riesce a fronteggiare uno stesso pensiero negativo esterno/interno solo entro certi limiti temporali dopo i quali il pensiero viene introiettato come parte integrante della persona.

Un genitore che sottolinea costantemente e ripetutamente la non adeguatezza del figlio, a lungo andare causerà in quest’ultimo un PdB del tipo “Non sono adeguato”, “Non sono all’altezza” che verrà introiettato e considerato come parte connaturata del proprio Sé.

A quel punto non sarà più necessario che il genitore ricordi al figlio la sua inadeguatezza, sarà lui stesso che si autopercepirà in quel modo.

Questo passaggio può apparire come un’involuzione, ma paradossalmente per il figlio, dal punto di vista della sua economia psichica, è un progresso, una strategia vincente, perché può risultare meno doloroso autoaffliggersi piuttosto che subire dall’esterno messaggi comunicativi che invalidano costantemente il valore del proprio Sé.

Inoltre, in questo modo, l’individuo salvaguarda l’immagine idealizzata del genitore buono che non dovrebbe mai fare del male ai propri figli.

Anche perché la distruzione dell’immagine buona del proprio genitore corrisponderebbe alla distruzione del proprio Sé.

L’Autostima

La quarta è legata all’autostima e all’orgoglio personale, infatti, come ci si potrà sentire quando si comprende di aver reiterato per anni lo stesso errore?

Come minimo sciocchi, e nessuno vuole considerarsi uno sciocco: meglio cattivi che stupidi!

Una persona in questa situazione cercherà di attuare manovre e strategie cognitive per convincersi che ciò che ha pensato di sé per tanto tempo sia stata la cosa più giusta che poteva fare, anche se ha minato sua felicità.

Col passare del tempo per una persona sarà sempre più difficile distinguere tra ciò che è reale e ciò che non lo è, tra realtà oggettiva e realtà soggettiva, perché ormai tutta la sua struttura cognitiva si regge su di un autoinganno che non può essere smontato.

Percorsi di cambiamento come la psicoterapia o come un vero percorso spirituale sono particolarmente ostici perché sono pratiche che minano alla base le proprie convinzioni e credenze.

Le difese e le reazioni che scaturiscono quasi automaticamente da chi ha intrapreso questi percorsi perché paradossalmente solo l’idea di un reale cambiamento profondo attiva in loro la paura di perdere l’integrità dell’Io e del proprio Sé.


Altri meccanismi che sostengono il mantenimento dei PdB

In questo paragrafo verranno analizzate altre due motivazioni di mantenimento che, pur non essendo direttamente collegate ai PdB, contribuiscono tuttavia alla loro conservazione nel tempo.

La bolla percettivo-emozionale

Quando si hanno delle ferite psicologiche il problema si pone allorché si crea un’identificazione con esse; fintanto si è presi in questa identificazione, si rimane “fuori controllo” e guidati dalla paura perché si è guidati dal bambino emozionale interiore (Krishnananda 1997).

Quando si è immersi in questa “bolla” non si ha consapevolezza di sé e le azioni sono quasi meccaniche ed automatiche, come se si fosse in uno stato di trance con l’aggravante che non esiste un ipnotista in grado di far uscire la persona dal proprio sonno.

Di fatto la persistenza della bolla della paura è determinata dalla convinzione che essa sia vera, quasi consistente e materiale.

I PdB creano e mantengono la bolla e la bolla conferma e sostiene i PdB in un circolo vizioso senza sosta.

Anche in questo caso solo l’idea di poter superare determinate paure può provocare angoscia infatti, se si identifica le proprie parti più profonde con la paura, la sua risoluzione corrisponderebbe di fatto, all’annientamento del proprio Io.

La sospensione spazio-temporale

Lo psicoanalista cileno Matte-Blanco, nella sua opera monumentale “L’inconscio come insiemi infiniti: saggio sulla bi-logica”, riconduce le molteplici proprietà dell’inconscio freudiano a due principi fondamentali: il principio di simmetria e il principio di generalizzazione (Recchia-Luciani 2011).

Tralasciamo il principio di simmetria ed affrontiamo solo quello della generalizzazione.

Secondo questo principio, un elemento di una classe e la classe stessa coincidono; per questa ragione la percezione negativa di una singola caratteristica personale, sia essa fisica, emotiva o psicologica, irradia la persona nella sua globalità: l’ombra di un singolo elemento getta nell’oscurità tutti gli altri aspetti personali che, anche se positivi, verranno autopercepiti come negativi.

Per esempio, un individuo che non si considera particolarmente perspicace (elemento di una classe), tenderà a considerare la propria persona (intera classe) come inadeguata in tutti i suoi aspetti (fisici, emozionali e pratici).

Naturalmente, vale anche il contrario: un singolo elemento positivo può illuminare positivamente altre parti della persona anche se sono negative, tipico processo dei narcisisti fra l’altro.


Conclusioni

In questo articolo si è presentata una serie di ipotesi sul perché l’essere umano continui a riproporre strategie che non ottengono il risultato per cui sono state messe in atto. Ma non si tratta di offrire una scusante ad azioni irrazionali, anzi tutt’altro, perché è dovere di ogni essere umano assumersi la responsabilità della propria realtà in toto.

Non vi era lo spazio necessario per spiegare nel dettaglio come si creano queste strategie disfunzionali, anche se ne è stata presentata qualche “pillola” e nella seconda parte di questo articolo analizzeremo le motivazioni del mantenimento dei PDB applicati all’interpretazione della realtà più ampia.

Infine si descriverà quali sono le proposte per poter uscire da questa trance psico-cognitiva.


Note

[1] Papadopoulos 2014.
[2] La seconda parte sarà pubblicata prossimamente su La Mente Pensante Magazine.
[3] Fra l’altro ogni convinzione è come un dogma perché non basa la sua esistenza su dati oggettivi verificabili.


Bibliografia

Goleman D. (1996), “Intelligenza emotiva”, Rizzoli, Milano 2009.
Krishnanda, (1997) “Uscire dalla paura”, Urrà Edizioni, Milano 19/99.
Papadopoulos I., “La teoria generale dei pregiudizi di base”, Armando, Roma 2014.
Salvini A., Bottini R. (a cura di), Il nostro inquilino segreto, Ponte delle Grazie, Milano 2011.
Salvini A., Nardone G., “Psicoterapia delle voci e dei pensieri persecutori”, in Salvini e Bottini 2011.
Watlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., (1967), “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, Roma 1971.
Watzlawick P. (1983), “Istruzioni per rendersi infelici“, Feltrinelli, Milano 2006.
White M., (a cura di Umberta Telfner), “La terapia come narrazione”, Astrolabio 1992 Roma.


Dott. Ivo Papadopoulos Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Ivo Papadopoulos
Psicologo Clinico | Sociologo
Bio | Articoli | Intervista Scrittori Pensanti | AIIP Novembre 2023
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