Yoga
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Nonostante io pratichi yoga da tempo e siano anni ormai che lo insegni, devo riconoscere che ho una certa difficoltà a parlarne, tanto con gli allievi quanto coi colleghi. L’atto stesso di provare a verbalizzare e descrivere che cosa sia lo yoga diventa per me o un’azione estremamente riduttiva o un atto tanto complesso da risultare oscuro al mio interlocutore.
Praticarlo sembra l’unica soluzione per poter veramente capire la sua essenza. Srotolare il tappetino, iniziare a focalizzare la mente solo sul respiro, con lo scopo di addomesticarla e non permetterle rimuginio, giudizio, forme-pensiero che possono generare ansie e preoccupazioni, distogliendoci dal momento presente. Fare poi le pose, le asana, per percepire lo stato in cui si trova il nostro corpo e, contemporaneamente renderlo più forte, più elastico, più stabile.
Lo yoga è una disciplina che affonda le sue origini in un passato remotissimo e in una realtà geograficamente e socialmente molto lontana dalla nostra, eppure ha attecchito in occidente in maniera invasiva, arricchendosi (o snaturandosi, a seconda dei punti di vista) di varianti, sottogeneri, applicazioni, specificazioni.
La cultura occidentale ha un rapporto strettissimo con la finalità e lo scopo delle azioni, pertanto la pratica deve avere un fine. Si collegano le asana, allora, al sollievo o alla risoluzione di un problema fisico o di una rigidità di questo o quel muscolo. Sul web circolano intere video lezioni dedicate a pratiche per il detox, per l’equilibrio, per sciogliere i blocchi cervicali. Io stessa, quando preparo le lezioni, penso a una finalità precisa. Allo stesso modo troviamo meditazioni guidate per il rilassamento, per il focus e la concentrazione, per dormire meglio, ecc. Sicuramente lo yoga ha un lungo elenco di benefici psico-fisici e applicazioni volte al raggiungimento di un certo benessere generale della persona, ma nella complessità della disciplina, mi verrebbe da dire che questi elementi sono i mezzi con cui si manifesta, non l’essenza della disciplina stessa.
Yoga, infatti, significa “unione” ed è l’unità di mente, corpo e spirito (attraverso il respiro) dell’individuo che manifesta quell’unione durante la pratica e che si addomestica, col tempo, a farlo anche fuori dal tappetino, anche senza le posizioni, anche senza chiudersi nel silenzio della meditazione.
Tutto questo è veramente difficile da spiegare a parole, per quanto sia qui a farlo.
Cogliere l’essenza dello yoga e trasmetterla è quasi tentare di esprimere qualcosa che si può solo sentire.
Ci riesce benissimo, a differenza mia, Emmanuel Carrère nel suo romanzo autobiografico, dal titolo semplicissimo e azzeccato: Yoga. L’autore ci racconta della sua esperienza in un ritiro di meditazione piuttosto rigido. Da subito si trova nell’impasse di essere al contempo un praticante che deve evitare di seguire il flusso dei pensieri, concentrandosi solo sulla sua respirazione, e uno scrittore che vuole documentare e poi raccontare ciò che sta vivendo, obbligandosi quindi a un processo di giudizio, valutazione e poi narrazione.
Nel corso delle sue riflessioni, traccia postulati che descrivono che cosa sia la meditazione, aggiungendo di volta in volta considerazioni personali e dati più oggettivi. Osserva i suoi compagni, Carrère, e ci descrive le contraddizioni di chi tenta di raggiungere una pace interiore, ma in realtà è pieno di nevrosi, di ansie, di paure, come tutti. Anche come chi non pratica yoga. E senza cadere nella trappola della positività tossica, in quell’atteggiamento tanto promosso ormai su ogni social, che ci riempie di sensi di colpa se non sorseggiamo in nostro tè pensando solo al suo sapore o al calore che si diffonde nel nostro corpo o se non ci svegliamo la mattina entusiasti per una nuova giornata che ci è stato concesso di vivere, Carrère non si lascia andare alla frustrazione e cita Lenin: “Bisogna lavorare con il materiale a disposizione”.
Se in un dato momento il materiale a disposizione è una persona nervosa, nevrotica, arrabbiata, è con quella che dobbiamo fare yoga (noi stessi o i nostri allievi, vale per entrambi i casi). Solo così lo yoga può essere davvero una disciplina per tutti, come si sente spesso recitare quando si promuove un corso adatto a chiunque, riferendosi però a chi non pratica attività fisica di sorta, non è elastico, non è snello.
Dall’esperienza del ritiro yogico, l’autore passa a un altro capitolo della sua vita, molto intimo, privato e delicato: la depressione. Ed è in questa parte del romanzo che ancora di più si coglie il senso di quello che lo yoga è per Carrère e che forse può aiutarci a percepire e verbalizzarne facilmente l’essenza. Può una persona che si sente emotivamente e psicologicamente spezzata praticare yoga, una disciplina che punta all’unione, chiudendosi in se stesso, ascoltando la propria mente, il proprio corpo, il proprio respiro? La risposta che lo scrittore suggerisce è sì (e mi trova concorde), citando il titolo del romanzo del suo amico Hervé Clerc, “Le cose come sono”.
L’essenza dello yoga è quindi questo: prendere consapevolezze. Di chi si è, di come sta il corpo, dello stato in cui si trova la nostra mente, della condizione del nostro respiro, in un dato spazio e in un determinato tempo. Senza giudizio e senza costruire pensieri a riguardo. Tanto semplice da essere quasi banale a dirsi, tanto difficile da diventare il percorso senza finalità di una vita intera.
Buona lettura!
Marialuisa Ferraro
Yoga
Autore: Emmanuel Carrère
Editore: Adelphi
Genere: Saggio, Romanzo
Anno: 2021
Pagine: 312
ISBN: 8845937607
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Insegnante di yoga, chitarrista, docente di musica
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