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Arti marziali tradizionali: una storia millenaria che nasce con l’uomo

Un ponte tra autodifesa e benessere


Le arti marziali nascono con l’uomo, dal momento in cui si è reso consapevole del pericolo e dell’importanza di salvaguardare il proprio corpo, quel contenitore di carne e ossa che lo mantiene in vita.

Ovviamente in principio il tutto era composto da movimenti semplici, grotteschi e senza alcuno studio, ma nella loro naturalità attuavano al meglio il compito di auto-protezione della persona.

Con il passare dei millenni questi rozzi movimenti si sono pian piano evoluti con una certa logica, portando il loro sviluppo in un contributo per lo più militare.

Si passa quindi dall’obbiettivo di auto-tutela e caccia a quello di danneggiare i propri simili, per un mero fine di conquista di territori e potere.

Ma questo cambio di paradigma porta a degli sviluppi prima impensabili: dall’uso dell’arco a quello della spada, passando per le armi da lancio quali giavellotto o lancia, fino ad arrivare al combattimento a mani nude, indispensabile nel momento in cui si viene disarmati in battaglia.

E questo avvenne tanto in Oriente quanto in Occidente.

Poi accade che in Oriente e più precisamente in India, verso il 500 a.C. un principe chiamato Siddhartha Gautama, formato nelle arti tradizionali vediche (che comprendevano anche la pratica marziale, armata e non) capì, all’età di quasi 30 anni, di essere sempre stato tenuto sin dalla nascita all’interno di una campana di vetro dal genitore regnante, re Suddhodana, con il fine di non fargli percepire una profonda e importante verità: la vita è sofferenza.

E questo punto rappresenta l’inizio di quella filosofia e religione buddhista che è da sempre ritenuta di enorme importanza nel cambiamento e nella visione delle arti marziali tradizionali orientali.


L’arte marziale tra benessere fisico e difesa personale

Tralasciando l’aspetto marziale occidentale, in cui si svilupparono sistemi di lotta corpo a corpo come il pancrazio greco/romano, in oriente e precisamente in Cina si vide, con l’arrivo dall’India del famoso monaco buddhista Bodhidharma, l’inizio di una rivoluzione sia culturale che marziale.

Si dice che egli giunse, dopo un lungo pellegrinare, nel famoso monastero di Shaolin tra il 500 e il 520 a impartire gli insegnamenti del Buddha ai monaci che già vivevano nel tempo.

Un antico ramo del buddhismo in effetti era arrivato molti anni prima in Cina, per cui i primi monasteri erano già operativi e richiamavano a loro sempre più studiosi e traduttori indiani.

Una volta stabilitasi nel tempio egli vide che i monaci erano fisicamente molto deboli, a causa delle innumerevoli ore di meditazione in posizione seduta. Dato che la linea che Bodhidharma insegnava presupponeva il fatto di possedere una sana costituzione fisica, egli decise di impartire ai monaci degli insegnamenti di quell’antica arte marziale che si praticava a quel tempo in India, disciplina questa tramandata dai più ancor antichi testi vedici.

Questa si andò a mescolare con le già esistenti arti marziali autoctone cinesi, creando così la prima disciplina strutturata nel Regno di Mezzo (nome in cui i cinesi chiamano il loro paese), schematizzata e trascritta nei testi: vide alla luce il padre di tutti gli stili cinesi tradizionali, lo Shaolin Quanpugno/pugilato di Shaolin“.

Ovviamente era una disciplina adatta per migliorare il benessere fisico, ma le tecniche inserite potevano essere anche utilizzate per difendersi dai ladri e da tutti coloro che intendevano usurpare il tempio, di fatto facendo del bastone l’arma preferita dai monaci.

Perché proprio il bastone?

Semplicemente con questo attrezzo si poteva ledere gli avversari, ma difficilmente si portava loro la morte, cosa che per un buddhista rappresenta un peccato di prim’ordine, quindi da evitare assolutamente per non infangare eccessivamente il proprio karma.


Il Ving Tsun, la progenie

Tra tutte le discipline sviluppate in Cina e figlie di Shaolin, il Ving Tsun rappresenta una disciplina relativamente recente, si narra sia stata sviluppata circa 450 anni fa.

La cosa curiosa è che la leggenda, tramandata oralmente dal maestro Yip Man (insegnante del famoso Bruce Lee, tra gli altri), racconta di una monaca guerriera, una certa Ng Mui, che in seguito alla fuga dal monastero di Shaolin del Sud, dato alle fiamme dal governo usurpatore dei Qing, si nascose in un monte situato nel sud della Cina, e li modificò e perfezionò ciò che aveva appreso, fino ad arrivare ad un sistema marziale molto differente dall’originale, ma allo stesso tempo mantenendo le basi fondanti della cultura marziale cinese.

La monaca trasmise le proprie conoscenze ad una giovane ragazza, Yim Ving Tsun (da cui poi il sistema prese il nome), che utilizzò le tecniche apprese per sconfiggere un giovanotto del paese che la voleva forzatamente prende in moglie.

Da questo punto nasce la leggenda del Ving Tsun, che si sviluppa nei secoli fino ad arrivare ai giorni nostri, quando ha avuto un’esplosione di notorietà a fine anni ’70 del secolo scorso con il grande successo di Bruce Lee, che di fatto ha dato il via all’apertura in occidente di tutte le arti marziali cinesi.


Luca Bertoncello Autore presso La Mente Pensante Magazine
Luca Bertoncello
Insegnante di Ving Tsun Kung Fu, Qi Gong e Filipino Martial Arts | Coordinatore Nazionale Ving Tsun Academy Int’l
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