L’attenzione nel ventunesimo secolo
Il ruolo dello sviluppo tecnologico
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Forse la cosa più difficile che un essere umano debba affrontare è pensare a lungo e in maniera concentrata.
Queste parole sono state scritte nel 1925 da Hugo Gernsback, un inventore prolifico e uno dei pionieri della fantascienza. Secondo lui, le distrazioni erano sempre in agguato, ad esempio i rumori della strada che entrano dalla finestra, una porta che sbatte da qualche parte, un telefono che squilla, un campanello che suona.
Così Gernsback inventò “l’isolatore”, un casco di legno che eliminava il 95% dei rumori provenienti dal mondo esterno, dotato di due minuscole finestrelle di vetro per gli occhi e di un tubo per l’ossigeno facilmente inseribile nel caso si faticasse a respirare.
Qualche decennio più tardi, Simons e collaboratori condussero un esperimento mostrando ad alcuni soggetti un video in cui veniva inquadrato un gruppo di persone, alcune vestite di bianco e altre di nero, che si passavano la palla. Ai soggetti era stato chiesto di contare i passaggi di palla solo fra quelli in maglia bianca. Dallo studio emerse che quasi la metà del campione non si accorgeva del fatto che durante l’azione una persona travestita da gorilla attraversava il campo.
Negli anni a venire furono riprodotte numerose versione dello studio del gorilla, il quale fu la prova del fatto che quando si è molto concentrati non si notano le cose che accadono intorno. Infatti, il mondo mondo che osserviamo attorno a noi, in realtà è sostanzialmente modellato da ciò a cui noi prestiamo attenzione.
La concentrazione nel frenetico mondo moderno
Cent’anni dopo Gernsback, il problema è solo peggiorato. Di fatto, i caschi di isolamento hanno lasciato il posto a cuffie che cancellano il rumore, app che tracciano e bloccano le attività digitali e un insieme di guru della produttività che sostengono che esista un modo per ottimizzare le prestazioni mentali.
Tuttavia, nel corso dei decenni anche le distrazioni sono diventate più sofisticate ed ogni giorno che passa, resistergli sembra sempre più inutile. Alcune delle app per la gestione del tempo offrono uno sguardo molto intimo sul problema perché monitorano in che modo decine di migliaia di persone trascorrono realmente il loro tempo online. Ad esempio, RescueTime (2019) ha rilevato che l’utenza media controlla la posta elettronica o un’app di messaggistica istantanea come WhatsApp ogni 6 minuti e più di un terzo lo fa ogni 3 minuti o meno.
I ricercatori suggeriscono che questo comportamento non è legato ad una personale mancanza di volontà, ad una cattiva abitudine o al fatto di esserne dipendenti. Piuttosto ciò avviene perché siamo animali sociali, nati per vivere e lavorare in gruppo, dunque facciamo di tutto per non deludere il nostro gruppo di appartenenza.
Facebook ha scoperto il potere della socialità umana alla fine degli anni 2000, quando gli ingegneri hanno notato che molti commenti della gente si potevano riassumere in: “Mi piace”. Così nel 2009, hanno inserito il noto tasto “Like” e la gente ha iniziato a trascorrere molto più tempo su Facebook. Rendendo così facile reagire a un post, gli stessi ottenevano molte più interazioni e di conseguenza, tasti simili sono comparsi su altri social media.
È quasi impossibile per il cervello umano ignorare questo genere di interazione. Inoltre, gran parte della concentrazione risiede nella motivazione, ossia la spinta interiore per ottenere una ricompensa, e la tecnologia, da parte sua, ci permette di ottenere ricompense veloci e sempre a portata di mano.
L’essere umano e il multitasking
L’essere umano non è fatto per essere multitasking. Questo termine deriva dal mondo dell’informatica ed è stato coniato negli anni ’60 per descrivere i sistemi in grado di elaborare contemporaneamente due o più richieste. In realtà, molti computer non sono in grado di farlo: quando ci sono 4/5 programmi aperti contemporaneamente, il computer non li elabora tutti allo stesso tempo, ma passa solo molto velocemente da uno all’altro.
Questo meccanismo vale anche per il nostro cervello. Tutte le cose su cui vogliamo concentrarci sono come diversi programmi aperti sul desktop del nostro pc, inclusi i pensieri nella nostra mente, ad esempio la lista di cose da fare per domani. Anche noi, esattamente come i computer, passiamo dall’una all’altra attività. Tuttavia la mente umana non è efficiente come un computer, e di conseguenza impiega un po’ di tempo prima di abbandonare del tutto un pensiero.
Dunque, la chiave per concentrarsi è mantenere un solo “programma” aperto alla volta per più tempo possibile. Ciononostante l’attenzione prolungata, specialmente su pensieri astratti, non è un qualcosa che viene molto naturale agli esseri umani. Infatti, la ricerca suggerisce che possiamo farlo per circa 90 minuti alla volta.
I guru
Online esistono molti guru della produttività che propongono tecniche che spesso sembrano piuttosto complicate, con nomi come “la regola 80-20”, “la tecnica del pomodoro“, “il sistema di pianificazione dei blocchi”. Dietro questo gergo, quasi tutti i consigli di riducono in poche semplici idee:
- organizzare le proprie giornate così da dedicare meno tempo a pensare a ciò che dovresti fare e trascorrere più tempo a farle;
- fare delle pause regolari per ricaricare le batterie;
- controllare la posta solo un paio di volte al giorno.
Tuttavia, gli studi dimostrano che nonostante questo possa rendere le persone più produttive, per coloro che hanno maggiori livelli d’ansia, è stato riscontato il rischio che queste strategie aumentino i livelli di stress. La nostra mente, dunque è un sistema infinitamente più complesso di un computer e non può essere reso più efficiente apportando una serie di correzioni.
Questi consigli non risolvono magicamente i problemi che riscontriamo nel rimanere concentrati. Infatti secondo alcuni reportage, il vero problema è che la nostra soglia di attenzione è ormai sostanzialmente danneggiata.
L’attenzione umana come quella di un pesce rosso
Da alcuni anni si è diffuso l’allarmismo che, a seguito dello sviluppo delle tecnologie, l’attenzione dell’essere umano si sia ridotta fino ad essere paragonata a quella di un pesciolino rosso. Di fatto però nessuna ricerca scientifica sembra affermare questo dato, inoltre, un simile allarmismo non è una novità.
Quando è arrivata la televisione, si temeva che questa ci avrebbe fatto marcire il cervello e decenni prima affermazioni simili erano state fatte riguardo la radio. Forse è vero che al giorno d’oggi siamo più distratti, ma si tratta di un qualcosa difficile da valutare.
I ricercatori considerano la memoria di lavoro un indicatore dell’attenzione, e questa risulta rimanere stabile dagli anni ’90, molto prima degli smartphone. Dunque, le nostre menti non sono state indebolite dagli smartphone o dalle TV, ed anche se queste possono essere delle distrazioni, ciò che interferisce principalmente con la nostra capacità attentiva è la nostra stessa mente.
Quando Hugo Gernsback presentò il suo dispositivo al mondo affermò: “Perfino se regna la quiete suprema, tu sei il tuo stesso disturbatore per praticamente il 50% delle volte.” e quasi un secolo dopo, diversi studi gli hanno dato ragione, sostenendo che quasi la metà delle nostre distrazioni sono autoindotte.
La grande differenza con il passato è che oggi non è mai stato così facile distrarsi. La tecnologia è un importante distrazione, perché rende più semplice distrarsi. Dunque, invece di parlare di perdita della capacità di concertazione, sarebbe più corretto sostenere che siamo fuori allenamento rispetto al fatto di resistere alla tentazione di dedicarsi a qualcos’altro.
Come migliorare l’attenzione?
Siamo tutti consapevoli quanto sia importante riuscire a restare fermi su qualche attività. Concentrarsi su qualcosa di semplice come il proprio respiro e tornarci ogni qual volta che la mente inizia a vagare ci rende più consapevoli dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, senza venirne sopraffatti, aiutandoci a rilassarci. Questo può essere un modo semplice di meditare.
La meditazione si è diffusa negli ultimi decenni anche nei paesi occidentali dal momento che rappresenta una forma di allenamento per l’attenzione. In questo modo, quando sentiremo il bisogno di distrarci avremo dei muscoli più forti per ritornare nel presente, nel qui ed ora.
Tuttavia, molte persone non allenano la propria capacità di contrazione attraverso la meditazione, piuttosto hanno optato per liberarsi degli impulsi attraverso l’uso di farmaci, ad esempio l’Adderall, un’anfetamina utilizzata per il trattamento del disturbo dell’attenzione e della narcolessia.
L’Adderall agisce incrementando l’attività della norepinefrina, che ci rende vigili, e i livelli di dopamina che ci spinge a ricercare ricompense. Insieme, questi ormoni possono rendere più semplice concentrarsi per un arco di tempo più lungo. Purtroppo, sono ancora poco noti gli effetti collaterali dell’assunzione prolungata di questi farmaci, alcuni dei quali sono la compromissione del sonno e la creazione di dipendenza.
Dott.ssa Fiordalisa Melodia
Psicologa Clinica | Videogame Therapist
Bio | Articoli | AIIP Febbraio 2023
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