Analisi dell’espressione: “Mejo dell’umani”
A proposito di frasi fatte…
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Con questo articolo continuiamo con l’affrontare (e decostruire) alcuni modi di dire, luoghi comuni, universi simbolici, ed altro. Questa volta andremo nel regno animale, infatti sarà capitato anche a voi di sentirvi ripetere spesso che i cani sono meglio degli umani, ovviamente detto da chi ne possiede uno e che rimarca tutti i pregi e la bellezza dell’aver un fido a casa.
A Roma l’espressione corrisponde esattamente ad: “Aoh, so’ mejo dell’umani“, che è quella che odo più spesso.
Premetto che amo i cani, cosi come i gatti, i cavalli, le mucche, insomma gli esseri viventi in generale, ma la frequenza con cui questa stessa frase viene ripetuta la immola sull’olimpo delle frasi fatte come “Non ci sono più le mezze stagioni”, “Con questo tempo non si sa più come vestirsi”, “I gatti si affezionato più al luogo che al padrone”, e così via. Dato che non mi piacciono i luoghi comuni dedico a questa frase fatta questo articolo con l’intento di “decostruirla”.
Alcune ipotesi sulla sua origine
Questa frase fatta origina da una serie di ragioni relative unicamente a quei padroni che si prendono cura dei propri quadrupedi in maniera totale. Questa distinzione non è marginale perché chi invece ha una relazione più distaccata con loro, li lascia per giornate intere su un minuscolo balconcino o in un recinto più o meno piccolo o legati per anni ad una catena, ovviamente non ha contribuito alla formazione di questo universo simbolico sui cani.
Una prima causa dell’origine è che il cane ti ama incondizionatamente; per lui rappresenti il genitore, il capobranco, la sua unica ragione di vita e morirebbe per te. In molti casi questo amore incondizionato è ricambiato dal padrone anche se non sempre ciò è scontato.
Oserei fare un parallelo con i bambini: anche loro attivano in noi la tenerezza, la cura e l’amore incondizionato, e per me non c’è alcuna differenza fra l’amore verso un bambino o per un cane, e purtroppo, anche l’amore verso i bambini non è sempre scontato… Lo so, per molti vedersi paragonare i propri figli ad un cane è una grossa offesa, ma ciò è dovuto unicamente ad una visione antropocentrica limitata ed involuta della gerarchia degli esseri viventi.
La seconda motivazione è che questi “angeli con la coda” ti accettano per quello che sei, non ti giudicano, non hanno “pregiudizi” di nessun tipo. Il bello ed il brutto di questo aspetto è che qualsiasi cosa tu possa fare al tuo cane, anche negativa, lui tornerà sempre da te, non ti abbandonerà mai… Bello per te, brutto per lui. Nei termini della psicologia umana questa dinamica “canina” verrebbe definita “dipendenza affettiva”.
Un terzo aspetto è che i cani, come tutti gli animali, sono estremamente istintivi e spontanei, ciò che “provano” lo dimostrano immediatamente, senza filtri, ti fanno capire senza mezzi termini ciò che vogliono, del resto come come i bambini che a differenza dei cani, con il crescere, per la maggior parte dei casi, tendono a perdere questa qualità. I cani, anche se hanno dei loro codici che bisogna imparare a decifrare se veramente si vuole entrare in relazione con essi, non si addentrano in giochi di potere o manovre ipocrite funzionali al raggiungimento di uno scopo, come invece è molto comune nel mondo degli umani.
L’attimo presente
Sicuramente è possibile rintracciare altre motivazioni sull’origine di questa frase, e comunque una cosa che mi colpisce del mondo dei cani (così come di tutti gli altri animali “superiori”) è la loro presenza nell’attimo presente. Infatti, nonostante la loro impetuosità e volubilità dei loro aspetti istintuali, sono sempre perfettamente presenti nel qui ed ora, di giorno e di notte, (infatti per loro il concetto di tempo è molto nebuloso). Invece noi, che ci consideriamo esseri “evoluti” dedichiamo anni di studio, pratiche spirituali e meditazioni varie per raggiungere un singolo attimo di presenza. Certo la nostra ricerca spirituale si pone ad un livello diverso di consapevolezza… forse.
L’incongruenza
A questo punto si potrebbe pensare che quei padroni che hanno un rapporto più viscerale quasi simbiotico con i cani, siano ugualmente estremamente sensibili anche verso gli esseri umani, ma questo automatismo non è sempre scontato. Non e infrequente che si prenda un cane (o un gatto) dopo la fine di una storia d’amore importante (questo molto più spesso le donne) e se da una parte si apre al mondo animale, dall’altra si chiude al mondo degli umani, in genere quello di sesso opposto.
In molti casi si sviluppa una relazione simbiotica esattamente come in taluni casi si sviluppa fra un genitore ed un figlio con le “stesse” conseguenze negative sulla parte più debole, ovvero i figli ed i cani. Esagero? Non credo basti osservare come le “nevrosi” di taluni cani rispecchino le nevrosi del proprio padrone, esattamente come avviene nella relazione genitori-figli. Fra l’altro questa simbiosi é spesso associata ad un prosoponarcisismo (dal greco prosopo che significa profilo, viso, faccia) ovvero una sorta di “somiglianza” fra il muso del cane e il viso del padrone, aspetto messo comicamente in risalto in vari cartoni animati del passato.
Quindi la componente egoistica ed autogratificante è ben evidente quando si prende un cane, e di questo nessuno ne fa mistero, ma se si dovesse applicare lo stesso ragionamento ai figli… allora si scatenerebbe un putiferio, ma questo argomento verrà trattato approfonditamente in un mio prossimo libro.
La prova
Proprio per rimarcare l’incongruenza ed i paradossi della frase “So’ mejo dell’umani” vorrei raccontare un piccolo episodio: diversi giorni fa mi è capitato di assistere ad una scena che ben rappresenta quanto sto affermando, anche se é un po’ estrema.
Un signore casualmente urta con il piede il cane di un ragazzo. Il cane fa un balzo in avanti spaventato, il ragazzo capisce cosa sia accaduto ed inizia ad urlare verso il signore declinando “poeticamente” un intero vocabolario di insulti. Il resto lo tralascio. Beh, dove si è nascosta qui la sensibilità verso gli umani, visto che ci si “preoccupa” così tanto del proprio cane?
Certo, un singolo episodio non fa statistica, ma come insegna Ferrarotti, una singola “storia di vita” può sociologicamente far luce su alcuni aspetti della quotidianità (Ferrarotti 1981).
Gli animalisti
Non é raro poi che la difesa degli animali abbia come contraltare il disprezzo degli umani, allora a quel punto quanto é reale l’amore ostentato per gli animali?… Ovviamente è una domanda retorica. Cosa dire poi di quelle persone che per “amore” degli animali trasformano la propria casa in uno zoo non attrezzato arrivando a limitare fortemente quasi tutti gli aspetti della propria vita? Ciò probabilmente, oltre ad assolvere ad una funzione affettivo-riempitiva, in questi casi il disprezzo sembra rivolto verso se stessi e non agli altri.
La voce del padrone
“La voce del padrone” è stata una casa discografica italiana che è rimasta attiva fra il 1931 e il 1967 e che era una emanazione della corrispondente britannica “His master’s voice“. Quando ero piccolo i miei genitori avevano dei dischi editi da questa casa discografica (anche a 78 giri) ed il maneggiarli mi incuteva un misto di meraviglia e di terrore dato dal disegno, o logo, della caaa discografica. La meraviglia scaturiva perché tale logo era costituito da un disegno di un cane di razza Jack Russell Terrier che ascolta i suoni che fuoriescono dalla tromba di un grammofono. Questo disegno fu fatto da un pittore londinese, Francis Barraud che alla morte di suo fratello Mark, prese in carico il suo cane. Oltre ad esso aveva anche ereditato il suo grammofono con molti cilindri dove era incisa la voce del fratello defunto. Il logo, ovvero il disegno di Francis, rappresentava proprio il cane di Mark mentre ascoltava la voce del padrone defunto (Wikipedia). All’epoca non conoscevo questa storia ma l’immagine di un cane che ascolta un grammofono mi colpiva sempre molto. Invece l’aspetto che mi terrorizzava era data dalla parola “padrone” che associavo ad una misteriosa entità che poteva in ogni momento decidere per il bene o per il male di qualsiasi suo sottoposto, ed io speravo di non essere fra questi ultimi.
Ora in questo articolo ho usato il termine “padrone” per designare i possessori di cani ma anche ora mi stona e mi mette a disagio perché anche se non saprei che termine alternativo usare, rimanda al concetto di possesso e di dominio di un essere vivente su di un altro essere vivente.
Un po’ è lo stesso pensiero di Gibran quando, riferendosi ai figli, scrive che questi non sono figli dei propri genitori ma figli e figlie della vita stessa (Gibran 1973)….. concetto che io traslo anche agli animali domestici.
Dal possesso all’affido
Seguendo questa logica, se al posto di usare il verbo possessivo “avere” si usasse il verbo “affidare’, le relazioni sia genitori-figli che umani-animali assumerebbero una connotazione completamente diversa perché le parole che si usano nella vita quotidiana influenzano implicitamente anche il nostro pensiero ( processo che conoscono bene le lobby di potere, i governanti i pubblicitari, eccetera (Chomsky & Herman 1998, Chomsky 2002, Papadopoulos 2014). Eliminando il concetto del possesso si può arrivare a pensare invece che la vita ci ha offerto l’opportunità di avere in affido un essere umano o un animale e probabilmente si svilupperebbe, in maniera quasi naturale, più rispetto e meno ingerenza per la vita altrui, perché non la si possiede per mallearla a proprio piacimento, ma la si accompagna amorevolmente per un determinato periodo di tempo. Certo, un minimo di “educazione” è necessaria per evitare determinati disastri domestici e non, ma l’eliminazione del concetto di possesso faciliterebbe lo sviluppo delle inclinazioni personali… Sì, perché anche i cani, oltre ad avere degli aspetti caratteriali di razza, hanno anche il proprio “carattere” individuale che paradossalmente spesso viene rispettato più di quello degli umani.
Conclusioni
Tornando al luogo comune argomento di questo articolo, se i cani sono mejo dell”umani, allora iniziamo ad imparare da loro più che imporre i nostri “addestramenti” le nostre nevrosi a questi esseri (cani o bambini). L’ideale sarebbe usare una metodologia più da etnologo ed antropologo secondo il metodo di Malinowski, che osservava i fenomeni sociali in maniera partecipe più che imporre il proprio punto di vista, perché forse questi esseri sono più in collegamento col divino di noi…
Bibliografia
Chomsky N., Herman E.S., La fabbrica del consenso, Marco Tropea Editore, Milano 1998.
Chomsky N., Capire il potere, Marco Tropea Editore, Milano 2002.
Ferrarotti F., Storia e storie di vita, Laterza, Roma 1981.
Gibran K., (1923) Il profeta, Feltrinelli, Milano 2005.
Malinowski B., (1922), Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primiti-va, Bollati-Boringhieri, Milano 2011.
Papadopoulos I., La teoria generale dei pregiudizi di base, Armando Editore, Roma, 2014.
Articolo Correlato: “Uno con le… palle”: analisi e storia di un modo di dire, I. Papadopoulos, Agosto, 2023.
Dott. Ivo Papadopoulos
Psicologo Clinico | Sociologo
Bio | Articoli | Intervista Scrittori Pensanti | AIIP Novembre 2023
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