Quando il male entra nella stanza d’analisi
Clinica della psicopatologia
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Nei precedenti due articoli, l’argomento del Male è stato trattato come “Male in quanto tale” e come “La Scienza del Male”, con intermezzi aggiuntivi uno dal titolo “Da Male cattivo a Lupo buono” l’altro “La seduzione del Male”.
Questo articolo chiude la trilogia.
Clinica della psicopatologia
In questo caso, il sottotitolo “Clinica della psicopatologia” si riferisce al suo concetto, ossia “sostegno della salute mentale” (di competenza della psichiatria e della psicologia clinica) e non alla descrizione sia della tassonomia, sia delle modalità di cura.
Infatti, la psicopatologia non è significativamente argomento di questa trattazione in quanto poco pertinente ai fini dell’argomento principale, che è il Male come elemento di analisi e non come specifico produttore delle varie patologie ad esso collegabili, se non come causa di Dolore psichico. Non saranno, dunque, le psicopatologie nello specifico ad trattate bensì cosa succede quando il male come dolore che entra nella stanza d’analisi.
La stanza d’analisi
Quando si parla di “stanza d’analisi” ci si riferisce, tipicamente, al luogo in cui si pratica l’esercizio della prassi psicoanalitica.
Certamente è luogo fisico, una stanza – appunto – arredata per lo più in modo che ispiri accoglienza e neutralità e che abbia il lettino per il Paziente…..
Ma non è solo questo…… c’è tutta la parte di come e da chi la Stanza è “abitata”
Infatti, importante e significativa è la considerazione condivisa che la “stanza” sia il contenitore del “mentale”.
Contenitore a cui affidare la protezione di ogni detto e non detto, di ogni emozione, di ogni gesto, di ogni comportamento, con diritto di esistere e di essere coinvolgenti.
Infatti, è il luogo delle fantasie, degli agiti, dei vissuti transferali.…
È luogo della “parola” e dei “silenzi”.
Ed è per eccellenza il luogo dell’inconscio.
La stanza è la sua “casa” di cui ne padrone.
Così ogni “fatto” può entrare nella stanza quando e come vuole, perché è impossibile non farlo entrare, e non potrebbe essere altrimenti.
Alla fine, la Stanza è custode di tutto.
Sia l’Analista sia il Paziente lo sanno.
Il male nella stanza d’analisi
Due possibili intendimenti: “male psichiatrico” e “male psichico”.
Il male psichiatrico
Esso si può riferire al Male efferato provocato e perpetrato essenzialmente con intenzionalità o come esito di malattia psichiatrica, o ancora con l’incoscienza da sostanze .
Non è né possibile né probabile che la terapia sia un’analisi psicoanalitica, anche perché occorrono, tra altro, la capacità di accedere al simbolico, di ricorrere alla metafora, la capacità di processare i fatti, la curiosità e la motivazione per comprenderli – e quasi mai sono presenti, almeno fintanto che non si verifichino dei sinceri sentimenti di pentimento e l’altrettanto sincero desiderio di comprensione e cambiamento.
Decisamente più concreto e più indicato l’accesso ai Centri Psico-sociali territoriali, che garantiscono cure, colloqui psicologici, programmi di recupero e di reinserimento.
Il male psichico
Al di là della riconosciuta predisposizione genetica, esso si riferisce al Male in tutte le sue accezioni di Dolore procurato dagli eventi della vita e dalle soggettive modalità percettive di essi, le cui cause e conseguenze possono essere riconosciute dal Paziente oppure no.
È un Male che spazia dal “semplice” disagio fino a seri problemi nella sfera psichica di ordine psicologico, perché le reazioni avverse agli eventi (che sono incomprensibili a livello cognitivo ed emotivo) sono portatori di dolore.
Che si tratti di lutti e perdite significative, di eventi traumatici, di violenze di ogni genere nel corpo e nell’anima, di malattie invalidanti quali tumore e altre, malattie del funzionamento dei vari sistemi, malattie ereditarie, malformazioni del corpo e quant’altro proveniente dalla realtà immanente….. il Male entra in modo subdolo, al punto da poter essere a volte innominabile e non sapere neppure che nome dargli.
Si pensi alla definizione di “Male Oscuro” per indicare la sintomatologia della Depressione oppure “Quel male lì” per indicare tumore e cancro.
Alla fine, si sa solo che è dolore e che, per questo, si soffre.
Il dolore (il male) nella stanza d’analisi
Ora, nella stanza d’analisi, cosa se ne fanno del “male” l’analista e il paziente?
Ancor prima del Paziente, nella stanza entra il suo Dolore e quasi sempre la domanda è “perché proprio a me?”, “cosa ho fatto per meritare questo?”.
Non c’è risposta che possa placare il dolore e quanto ad esso collegato finché non vi sia la comprensione analitica.
E da qui in avanti si dipana la storia dei veri e falsi ricordi, delle associazioni e delle interpretazioni nella misura in cui tutto ciò è possibile.
Comunque, qualunque sia il tipo di dolore, in quale entità percepito e in qualsiasi modo subito, il dolore è sempre ottundente ogni mente.
E si va dall’ottundimento psichico a quello emotivo.
Uno “fratello” dell’altro.
Ottundimento psichico nella stanza d’analisi
Si manifesta come “assopimento del cervello”: non si funzione bene, c’è scarsa possibilità del fare, non c’è molta connessione tra i vari sistemi cerebrali e mentali, al punto a volte di entrare in una depersonalizzazione psicogena (non come fenomeno epilettico ma psichico).
La capacità cognitiva è, appunto, ottusa: si rende poco, si fa molta fatica ad “esserci”, si abbassano le capacità di intuizione e di perspicacia.
Si fa persino fatica a “capire” il dolore.
Pertanto, questo ottundimento intrappola e ritarda la possibilità di entrare nel vivo dell’analisi – sia pure lentamente e con le dovute precauzioni dettate dalla teoria e dalla tecnica e, a maggior ragione, dall’esperienza dell’Analista.
Prima di analizzare il male/dolore nel suo significato, occorre, dunque, la pazienza di entrambi i soggetti per recuperare e superare i danni cognitivi e per potersi spostare nell’osservazione dell’emotività.
Ottundimento emotivo (emotional blunting) nella stanza d’analisi
Si parla di ottundimento emotivo per intendere la compromissione, l’appiattimento e l’intorpidimento della componente emotiva, per cui non si prova nessun tipo di emozione, che sia rabbia o gioia o altra e, pertanto, non esiste neppure la possibilità di esternarla sia a livello mimico che comportamentale.
È sintomo temporaneo prodotto dall’inconscio (non è patologia) ed è verosimilmente possibile ricondurlo alla anedonia e non alla alessitemia
Questo male, ovviamente procurato da eventi avversi, come entra nella stanza d’analisi?
Chiunque avrebbe difficoltà a relazionarsi con chi non sa dare risposta emotiva a se stesso e all’interazione, ma la stanza d’analisi è il luogo dell’accoglienza di ogni forma di dolore, anche se emotivamente non percepito né, dunque, raccontato o descritto.
In questo caso, il Male/Dolore si insinua ancora più alla grande, perché è come se fosse “silente” e dunque ancor più difficile da portare alla coscienza.
Solo dopo il tempo del “silenzio” del sintomo, si potrà cercare di analizzare le difficoltà che non hanno permesso l’espressività, così come cercare di recuperare e analizzare le emozioni sopite.
Nota:(anedonia e non alessitemia perché caratteristica della seconda è che questo sintomo non ha mai permesso di provare emozioni, mentre caratteristica della prima è che in un determinato momento psichico le emozioni sono sparite, dunque è un sintomo reversibile).
La pazienza nella stanza d’analisi
Siamo nella pazienza analitica, che è atto maieutico laicamente inteso. È indispensabile, non si può avere fretta. Questo è importante e non altro.
Comunque, scrivendo del Male in quanto tale, ho scritto, sia pure brevemente, della pazienza di Giobbe, simbolo per antonomasia.
Ma cos’è la Pazienza? Filosofi, teologi, poeti… intellettuali tutti… ne hanno parlato e ne parlano considerandola virtù o quant’altro. Serve al vivere dell’uomo.
“Bisogna avere pazienza?” è un libro scritto da Johannes Straubinger (1883-1956): il quale propone la comprensione dei mali che affliggono l’uomo, dolore compreso, attraverso la fede, la speranza e la gioia.
È una visione di tipo cattolico, altrettanto quella di S. Agostino che la intende dono di Dio, mentre la frase di Giacomo Leopardi “la pazienza è la virtù dei forti” (Zibaldone) la riporta ad una dimensione laica.
Giobbe ha fatto strada: si ha persino la “Sindrome di Giobbe” che consiste in un eczema cutaneo cronico.
Giobbe a parte,
noi siamo nella pazienza analitica, che è atto maieutico laicamente inteso. È indispensabile, non si può avere fretta. Questo è importante e non altro.
Conclusioni
Il Male è fonte di Dolore e il dolore è elemento del vivere, fa crescere ma fa anche soffrire e non poco.
La sofferenza data dal male che l’ha prodotta deve essere eliminata, o quanto meno ridotta, per poter soddisfare le esigenze del benessere mentale psichico.
Questo scritto prende in considerazione una delle possibilità di remissione data dalla clinica psicoanalitica e descrive, o tenta di descrivere, in che modo e con quali esigenze essa può concretizzarsi.
Infine alcuni Aforismi tratti da Google per ironizzare e sorridere un po’ alle spalle del dolore
Non abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà (Lucio Anneo Seneca)
Il dolore è un grande maestro, però nessuno vuole essere il suo discepolo (Hasier Agirre)
Se la sofferenza porta saggezza, vorrei augurarmi di essere meno saggio (William B. Yeats)
Alcuni dolori sono fisici, altri dolori sono mentali, ma quelli che sono più forti sono dentali. (Ogden Nash)
Quando il suo terzo marito è morto, lei è diventata bionda dal dolore (Oscar Wilde)
Il tedesco beve il dolore, il francese lo mangia, l’italiano lo dorme e lo spagnolo lo canta (Proverbio)
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Dott.ssa Grazia Aloi
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