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L’influenza dell’individualismo nel mondo scolastico

La decostruzione del messaggio sociale nell’agire educativo [Parte Terza]

Image by Taylor Flowe on Unsplash.com


Nelle prime due parti di questo articolo si è andati ad analizzare in che modo i messaggi sociali impliciti ed espliciti possano andare ad influenzare l’agire educativo e di conseguenza anche i discenti stessi (Papadopoulos 2024a, 2024b). Prima di proseguire quest’analisi, che verrà conclusa nella prossima ed ultima parte, in questo articolo andremo ad analizzare alcuni aspetti che sono alla base di tutti i condizionamenti sociali ed individuali per arrivare poi ad affrontare anche alcuni aspetti epistemologici.


La società narcisista

Fino a qualche decennio fa sussisteva una concezione tradizionale dell’educazione che vedeva un “adulto” che impartiva nozioni, istruzioni e quant’altro ad un essere in crescita. Questa vetusta visione non è ormai più riconosciuta da nessun insegnante per cui si può affermare che l’insegnamento si è “democratizzato”. Ma come accade in queste transizioni spesso si passa  all’estremo opposto, infatti, se fino alle prime classi della scuola primaria i bambini riescono ancora a riconoscere una certa “autorità” all’insegnante, già prima di passare alla scuola secondaria questo fragile equilibrio di rispetto inizia ad incrinarsi (ovviamente è un discorso generalizzato che non considera le singole situazioni locali). Quando poi si arriva al liceo, non è infrequente riscontrare una sorta di autarchia dove da una parte ci sono dei ragazzi che generalmente non riconoscono l’autorità della figura dell’insegnante e dall’altro lato si vedono insegnanti impotenti e spesso incapaci di destare un benché minimo interesse nella materia che insegnano e alternano modalità complementari come il lassismo o l’autoritarismo, senza che nessuno dei due atteggiamenti sortisca un effetto positivo.

Che attinenza ha questo discorso con l’argomento che abbiamo iniziato a trattare fin dalla prima parte di questo articolo? È perfettamente calzante perché anche questo stato di cose nasce da un’idea di uomo propagandato dalla nostra società contemporanea legata all’idea di poter fare ciò che si vuole senza alcun limite, a volte seguendo la legge del più forte azzerando totalmente l’empatia e l’umanità più profonda. Questi messaggi vengono incamerati dai ragazzi sia come risultante “educativa” dai propri genitori, sia come omologazione ai modelli del gruppo dei pari. A ben vedere, di fatto, il modello proposto è quello di un uomo narcisista! (Per approfondimenti sul tema si veda Lasch 1979).


L’origine dell’individualismo

Quanto appena scritto è coerente con l’assunto che l’individualismo rappresenti l’atteggiamento predominante della nostra società e si potrebbe a questo punto analizzare sociologicamente tutta una serie di aspetti materiali, politici, economici, sociali e quant’altro per rintracciare le cause che hanno determinato la supremazia di questo modello culturale nella società odierna. In realtà la sua origine è legata ad una ed una sola causa: credere in un Io sostanziale nonché separato dal proprio ambiente. Per questa ragione gli aspetti sociologicamente validi rappresentano solo l’effetto di questo “errore” epistemologico primario. Per questo motivo tutti gli interventi messi in atto in quel settore per cercare di “raddrizzare” la deriva egoica sono falliti perché sono andati ad intervenire sugli effetti e non sulla causa perché appunto l’individualismo origina dal concetto di separazione, ovvero dall’aver dimenticato l’origine dipendente di tutti i fenomeni(1) compresi noi stessi.


L’origine dipendente

Fin da piccoli ci viene “insegnato” che la “nostra” mente “soggettiva” è racchiusa all’interno di un corpo separato dal proprio ambiente; così pensiamo alle nostre sensazioni, ai nostri pensieri e alle nostre convinzioni come frutto di processi tutti interni alla nostra epidermide e al nostro cervello. Allo stesso modo quando sperimentiamo delle emozioni ovviamente le consideriamo come originate dal nostro Io, dal nostro corpo e ciò ci conferma che siano effettivamente nostre: ma quanto di tutto ciò corrisponde a verità? (Papadopoulos 2014). La messa in discussione dell’esistenza di un Io sostanziale non arriva ora solo dalla filosofia buddista di Nagarjuna, ma anche da scienziati e fisici quantistici e ricercatori come Gregory Bateson, Francisco Varela e Rom Harrè. Per esempio, secondo quest’ultimo autore che fa capo alla corrente della filosofia costruzionista, anche le emozioni possono risultare socialmente costruite (Harré 1986).

L’idea di un Io assoluto ed indipendente appare sempre di più come una delle tante mere illusioni culturali perché, come si è visto nel campo della fisica, se si va all’interno della materia, alla ricerca del mattone primo, si arriva ad abbracciare solo un grande vuoto fisico dove tutto è vibrazione e tutte le particelle risultano intrecciate le une con le altre senza limiti di spazio e di tempo(2).

La conclusione è che non può esistere nulla che sia isolato dal proprio ambiente, ma ciò non corrisponde alla maniera in cui siamo abituati a percepire la “realtà” perché di fatto la nostra percezione ci porta ad altre conclusioni che vanno ovviamente a confermare che esista una realtà separata così come un Io assoluto ed indipendente.

Anche questo discorso: cosa ha a che fare l’educazione scolastica? Anche questo è molto pertinente perché i bambini fin dalla nascita iniziano ad apprendere tutti i pregiudizi e le credenze erronee degli adulti, compresa questa “ignoranza fondamentale” dell’esistenza di un Io sostanziale: se si crede in un “Io” separato dal proprio ambiente, anche le piccole donne ed i piccoli uomini baseranno la costruzione della loro “realtà” in siffatta maniera.


Io versus noi?

Il pregiudizio dell’esistenza di un Io sostanziale prima viene impresso nella propria famiglia di origine e secondariamente viene stabilizzato nei contesti educativi durante la costruzione delle matrici sociali (Berger e Luckmann 1966). La scuola, indipendentemente dal tipo di insegnamento che viene effettuato, è di per sé separativa in quanto si basa sul giudizio e sulla valutazione, così come sulla competizione che per forza di cose porta alla divisione. Quanto appena espresso ci porta ad affrontare la dicotomia Io/Noi, attualmente tutta spostata sul versante dell’Ego relegando sullo sfondo il concetto del “Noi”.

A mio avviso questa dicotomia è cresciuta esponenzialmente con lo sviluppo della filosofia positivista; in seguito, con il conseguente avvento dell’era industriale e con lo spostamento di grandi masse di persone dalla campagna verso centri urbani più grossi, si è andata a corrodere l’idea di “comunità” visto che la nuova organizzazione derivante da questa “rivoluzione” si basava e si basa tuttora sulla famiglia nucleare separata dal suo contesto più ampio.

Il movimento degli hippies e le proteste del 1968 tentarono di ridare valore all’idea di comunità e a quella di gruppo ma, un po’ per la predominanza dei vari ego disseminati in ogni gruppo, un po’  per le strategie del potere (che utilizzò prima la droga e poi una stagione di terrorismo guidato), il senso del “Noi” dei “figli dei fiori” si annientò completamente per trasformarsi agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso nel neoliberismo basato fortemente sull’individualità spregiudicata.

Date queste premesse mi chiedo se sia possibile attuare dei processi educativi alternativi anche nei contesti istituzionali e non solo nelle nicchie avanzate spiritualmente e culturalmente accessibili solo ad una piccola élite, per permettere il distanziamento dalla propria autoreferenzialità e per proporre una modalità alternativa di percepire la “realtà” interna/esterna.


L’educazione possibile 

La risposta alla domanda posta alla fine del paragrafo precedente è sicuramente negativa, almeno nel breve e medio termine. Innanzi tutto la classe politica di tutti gli stati del mondo ha una visione estremamente riduttiva dell’essere umano, quindi non ci si potrà aspettare nulla dalla politica, anzi, semmai andrebbe a porre dei paletti pseudoscientifici ad un cambiamento come quello proposto qui.

In secondo luogo, come abbiamo visto, l’universo simbolico, la concezione sociale della “realtà” e le credenze personali sono tutte spostate sull’individualismo e sull’idea di una realtà oggettiva che non può essere messa in discussione. Quelle poche anime che provano e proverebbero a promuovere in contesti istituzionali una visione più in linea con le ultime scoperte della fisica quantistica sicuramente non otterrebbero l’appoggio del corpo insegnanti, degli amministratori e dei genitori stessi perché solo una piccola percentuale di loro sarebbe in grado di capire cosa si sta mettendo in gioco. Quindi, fino a che i modelli culturali rimaranno quelli sopra descritti, non si potrà attuare nessun cambiamento pragmatico.

La bella notizia però è che i contesti educativi non istituzionali che propongono visioni e modalità più in sintonia con l’essenza dell’essere umano, sono in crescita ed in continua evoluzione. La storia insegna poi che le buone idee, prima o poi, riescono ad entrare e condizionare anche i contesti istituzionali più rigidi: è solo una questione di tempo.

Conclusioni

L’articolo potrebbe chiudersi qui, con questa proposta alternativa, ma, come è stato anticipato nell’introduzione, vorrei ancora mettere in evidenza qualche altro condizionamento sociale che è andato a modificare la modalità di apprendimento degli esseri umani. Nel prossimo ed ultimo articolo nello specifico andremo quindi ad analizzare come la diversa percezione del tempo e della velocità dell’era tecnologica sono andati ad influenzare pesantemente la psiche degli esseri umani.


Note


1.L’origine dipendente è un concetto approfondito dal filosofo e monaco buddista Nagarjuna vissuto all’incirca nel primo secolo d.C. Esso presuppone che tutti i fenomeni, compresi gli esseri viventi, non abbiano una una sussistenza in se stessa ma siano sempre in relazione a qualcosaltro (Per approfondimenti si veda Westerhoff 2009).
2.Su questo discorso si veda il concetto di “entanglement” scaturito dagli esperimenti della fisica quantistica.
3.Molto interessante e spassoso è a questo proposito il primo libro di Amelie Nothombe, “Metafisica dei tubi”, che racconta una sua esperienza fuori del normale di quando era bambina.


Bibliografia


Berger P. & Luckmann T., (1966), La realtà com costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969.
Harré R., The social construction of emotions, Basil Blackwell, London, 1986.
Lasch C., (1979), La cultura del narcisismo, Edizioni Neri Pozzi, Vicenza 2020.
Papadopoulos I., La teoria generale dei pregiudizi di base, Armando Editore, Roma 2014.
Papadopoulos I. 2024a – https://lamentepensante.com/messaggio-sociale-nellagire-educativo-parte-prima/
Papadopoulos I. 2024b – https://lamentepensante.com/propaganda-e-strategie-negative/


Dott. Ivo Papadopoulos Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Ivo Papadopoulos
Psicologo Clinico | Sociologo
Bio | Articoli | Intervista Scrittori Pensanti | AIIP Novembre 2023
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