Spiegare il bizzarro
La gente sapeva come dovevi curarti se il tuo male si chiamava “taranta”
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La capacità dell’uomo di riflettere su sé stesso, è motivo di elevazione e dannazione dello spirito umano da sempre.
C’è chi per mezzo della contemplazione ha dato vita ad arti, religioni e filosofie e chi, invece, è stato consumato da questa lucidità.
Tuttavia, l’autoconsapevolezza (e i suoi derivati) sono ciò che contraddistingue l’essere umano dagli altri esseri viventi.
Dare senso alle nostre esperienze e attribuire loro un significato, è parte fondamentale della costruzione della nostra autoconsapevolezza.
In questo articolo, vorrei esplorare questo processo di sensemaking nel contesto di alcune delle esperienze più bizzarre che la nostra mente può creare.
Prendiamo il caso della paralisi notturna.
La paralisi notturna è quel fenomeno per cui una persona riacquista coscienza durante il sonno REM (rapid eye movement).
Tuttavia, la caratteristica principale del sonno REM è l’atonia muscolare. In altre parole, durante questa fase del sonno, il corpo non può rispondere ai comandi motori.
Ciò significa che la persona è cosciente, ma non è in grado di parlare o muoversi. Da un punto di vista biologico, questo fenomeno è determinato dal fatto che, durante il sonno REM (fase in cui, in genere, si sogna), il nostro cervello è “disconnesso” dal corpo. Non viene regolata la temperatura corporea, né il battito cardiaco (che risulta irregolare) e la respirazione è superficiale. Ciò genera una sensazione di soffocamento, pressione sul torace e immobilità. Talvolta, tale fenomeno è accompagnato da allucinazioni intense e terrificanti.
Durante questi episodi, alcune persone riportano persino di percepire una presenza maligna. Questo succede perché il sonno REM è associato ad un’intensa attività cerebrale, altamente desincronizzata, che si traduce in un eccitamento estremo. Tale eccitamento, quindi, può generare allucinazioni e sensazioni di presenze maligne.
La scienza oggi è riuscita a spiegare questo fenomeno da un punto di vista biologico, ma la storia è piena di “tentativi” diversi di dare senso a questa esperienza.
Per esempio, il termine inglese per definire l’incubo è “night-mare” dove ” mare” fa riferimento ad una donna demoniaca che, secondo antiche leggende, soffocava i dormienti stendendosi sul loro torace.
Nel 1790, Johann Heinrich Füssli dipinge “The Nightmare“.
Questa opera ritrae una presenza inquietante all’altezza del torace di una donna addormentata. Tra le credenze popolari della mia terra d’origine, esiste qualcosa di simile.
Apparentemente, nel passato si credeva che le nostre case fossero abitate da un folletto maligno e che questo folletto maligno si andasse a sedere sul petto dei dormienti. Il nome di questa creatura è Schezzamurid. Nel mio dialetto “schezz” vuol dire schiacciare.
Questo non è l’unico caso in cui la credenza popolare tenta di spiegare alcune “stranezze” della nostra mente.
Per esempio, l’origine della taranta sembra sia legata ad una credenza popolare secondo cui il ballare frenetico tipico di questa danza fosse un modo per aiutare le donne che, a seguito del morso della tarantola, si credeva fossero possedute dal diavolo.
Una famosa canzone, infatti, recita:
la gente sapia comu t’i curare ci lu tou male se chiama’ taranta (la gente sapeva come dovevi curarti se il tuo male si chiamava taranta)*.
La taranta, per cui, nasce come una sorta di esorcismo musicale: la malincunia si cacciava ballando. Probabilmente, questo tipo di manifestazioni – che al tempo venivano attribuite al morso di un ragno velenoso – oggi sono conosciute come agitazione psicomotoria, mania, epilessia o catatonia.
Ciò che accomuna queste credenze popolari è il tentativo dell’uomo di spiegare i fenomeni insoliti e talvolta spaventosi della sua stessa mente. Naturalmente, la natura mistica delle spiegazioni del passato è fortemente influenzata dagli strumenti a disposizione.
Oggi, grazie allo sviluppo tecnologico, le credenze popolari sono state sostituite da strumenti come la risonanza magnetica funzionale e la genetica.
Tuttavia, il filo rosso che connette le spiegazioni di oggi a quelle di ieri, è la tendenza dell’uomo a tentare di comprendere sé stesso. La parte cruciale di tale processo è il fatto che il modo in cui interpretiamo un determinato fenomeno può influenzare come ci rapportiamo ad esso. Per esempio, pensare che la malattia mentale sia il frutto di un incontro diabolico in qualche modo la mistifica.
D’altro canto, è vero che l’ignoto ci ha sempre fatto un po’ paura e che molti misteri della mente devono ancora essere risolti.
Tuttavia, oggi abbiamo strumenti diversi e più accurati grazie ai quali la malattia mentale non è più vista come qualcosa di demoniaco.
La malattia mentale non spaventa più come il morso di un ragno o come un folletto malefico e questo è possibile grazie al fatto che ci conosciamo sempre di più. In questo caso, imparare a comprendere la nostra mente, senza stigma né pregiudizio, può avere benefici per la nostra stessa salute.
Poi chi lo sa, magari in futuro le teorie attuali sulla malattia mentale saranno obsolete come lo è oggi il mito della tarantola?
Difficile dirlo, ma forse l’autoconsapevolezza potrebbe non essere un castigo, ma la chiave.
Taranta
io tegnu nu tormentu intra lu piettu
ca me consuma e nu se ferma mai
me tremula la terra sutta li peti
nu c’è mai fine pe lu miu cadire
quiddhu ca mangiu nu tene sapore
pe mie nu c’è chiui luce ne culore
la gente sapia comu t’i curare
ci lu tou male se chiama’ taranta
e osce ca li tempi hannu cangiati
ci è ca po sentire lu miu dulore
e ci me porta l’acqua pe sanare
a ci chiedu la grazia pe guarir
nu sacciu ci è taranta ca me tene
ma nu me lassa e me face mpaccire
ci è taranta nu me abbandunare
ci balli sulu nu te puei curare
ci e’ taranta lassala ballare
ci e’ malencunia cacciala fore
(testo: M. Durante / musica: L. Einaudi, M. Durante)
Traduzione
io tengo un tormento dentro il petto
che mi consuma e non si ferma mai
mi trema la terra sotto i piedi
non c’è mai fine per il mio cadere
quello che mangio non ha sapore
per me non c’è più luce né colore
la gente sapeva come dovevi curarti
se il tuo male si chiamava taranta
e oggi che i tempi son cambiati
chi è che può sentire il mio dolore
e chi porta l’acqua per sanare
a chi chiedo la grazia per guarire
non so se è taranta che mi tiene
ma non mi lascia e mi fa impazzire
se è taranta non mi abbandonare
se balli solo non ti puoi curare
se è taranta lasciala ballare
se è malinconia cacciala fuori.
Video
Taranta – Canzoniere Grecanico Salentino (ft L. Einaudi) – Official Video
Eleana Pinto
PhD, Ricercatrice universitaria (post-doc)
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