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Digital Wellbeing

Cose da sapere sul nostro rapporto con la tecnologia


Qualche giorno fa mentre scorrevo con pigrizia e senza attenzione, o meglio senza nessun obiettivo specifico, la mia bacheca di Facebook sono incappato in questa deliziosa vignetta che da un lato mi ha fatto ridere di gusto e dall’altro invece mi ha fatto riflettere profondamente su come il nostro rapporto e la nostra relazione con la tecnologia siano profondamente cambiati nel corso degli anni e di come la pandemia abbia giocato un ruolo importantissimo nel ridefinire i canoni stessi del nostro concetto di “lavoro”.

La prima cosa che ho fatto è stata ovviamente risalire alla fonte della vignetta, che poi è un meme e non una vignetta e sono arrivato al profilo instagram di artmemescentral, che vi consiglio di seguire perché è davvero divertente, ironico, pungente ed a suo modo va dritto al punto.

In questi giorni sto lavorando ad un progetto di formazione dedicato ad esplorare con i partecipanti gli elementi più interessanti del passaggio dal classico telelavoro al modernissimo e fikissimo (giuro la “k” ci sta eccome) agile working, concetto che a sua volta sta mandando direttamente in pensione e senza passare dal via il tanto amato/odiato smart working.

Lavoreremo su come spesso ci si perda dietro sigle, acronimi ed etichette per nascondere la nostra incapacità e riluttanza ad utilizzare al massimo delle loro possibilità risorse e strumenti che già fanno parte di noi, da sempre, ma che hanno perso un po’ di allure e di fascino con il passare del tempo o anche semplicemente per via del naturale evolversi del linguaggio.

Lo sapevate che prima ancora di “telelavoro” già nel 2000 si iniziavano a studiare effetti, dinamiche ed implicazioni del “lavoro a distanza”[1]?


Che cos’è il digital wellbeing?

Fra le millemila (anche questo un termine “giovane” che mi piace utilizzare) nuove parole che incontriamo quasi ogni giorno una che mi ha particolarmente colpito è zoom fatigue: si tratta della cosiddetta stanchezza da Zoom, un fenomeno che ha preso piede a partire dal marzo del 2020, quando con il primo lockdown tutti gli incontri che eravamo abituati a fare di persona si sono trasferiti davanti a uno schermo.

Nonostante sia indubbiamente una soluzione comoda per il periodo, dopo mesi molte persone sono giunte a una condizione di esaurimento per via di un uso spasmodico delle piattaforme per comunicare con colleghi e amici.

Finora la scienza ha fatto pochi passi in avanti nella comprensione di questo particolare senso di affaticamento (mentale prima che fisico), ma un recente studio della Stanford University [1] ha risposto a numerosi “perché” precedentemente irrisolti, o almeno ci prova.

Sicuramente questo studio, questo come molti altri, mette in luce un paio di aspetti importante del nostro nuovo modo di lavorare e di intendere il lavoro che la pandemia ci ha lasciato in eredità: da un lato un evidente analfabetismo informatico e digitale (in fondo pochi di noi sono dei “nativi digitali” tout court) sebbene nelle nostre aziende si festeggi la quarta rivoluzione industriale all’insegna dell’industria 4.0 e della digitalizzazione dei contenuti, e dall’altro la nostra ansia di dimostrarci presenti, attivi, professionali, capaci, felici e per niente imbarazzati difronte ai colleghi, al capo o a che solo agli amici dall’altra parte del mondo con cui stiamo facendo l’ennesimo “ape virtuale”.

Ammettiamolo, urlare “accendi il microfono” ad un collega con il microfono spento non ha molto senso (esattamente come quando uno straniero che non parla italiano ci chiede indicazioni e per farci capire meglio alziamo il tono di voce che manco Placido Domingo… non è sordo, e stordirlo non lo aiuterà di certo a trovare Via dei Glicini, così come non ha molto senso cercare di utilizzare come sfondo virtuale delle nostre zoom call una spiaggia assolata delle Maldive mentre invece siamo nella nostra cameretta con una connessione poco lontana dalla tanto amata 56k degli esordi. O no?

Siamo onesti, essere in ufficio seduti alla nostra scrivania un po’ ci manca.


Cosa possiamo fare contro la zoom fatigue?

E’ chiaro che per molti di noi la tecnologia e le sue opportunità possono rivelarsi un ostacolo, anche strutturale, oppure una potente distrazione, nella misura in cui assegniamo alla tecnologia un ruolo quasi esclusivo nella gestione delle nostre giornate: sia dal punto di vista professionale che personale ed emotivo.

Quante volte al giorno controllate le notifiche dal vostro smartphone? Davvero abbiamo tutto questo bisogno di tecnologia? Che fine hanno fatto non dico carta e penna, ma il pensiero, il potenziale creativo, il silenzio della mente? Chi ha ragione: gli iperconnessi o i talebani dell’ “internet ci ha rovinati” (n.d.a. il tipo che sta digitando queste parole ha uno smartwatch che gli notifica le notifiche dello smartphone)?

Ovviamente tutti e nessuno, quello che manca alle due fazioni è solo questo: la capacità per entrambe di creare e mantenere una relazione sana con la tecnologia. Significa usare la tecnologia per raggiungere i nostri obiettivi e non come distrazione o ostacolo. Se controlliamo la tecnologia possiamo usarne il pieno potenziale e trarne vantaggi.

Parlare di Digital wellbeing significa innanzitutto cercare, riconoscere ed esplorare i vantaggi di avere un rapporto sano e bilanciato con la tecnologia.

Al lavoro può aiutarci a essere più concentrati e coinvolti. Se siamo più presenti possiamo anche essere più produttivi ed efficaci, e non solo in ufficio in effetti… non vi da fastidio chiacchierare con un amico e sentirsi contemporaneamente obbligati a dare attenzione alla notifica di una mail o di un messaggio su whatsapp, magari del capo, magari fuori orario di lavoro? Quante volte durante un film (anche quelli in streaming senza pubblicità) in alcuni “momenti morti” della trama controllate velocemente lo schermo dello smartphone?

Quello che possiamo fare per evitare tutto questo è in realtà molto semplice, tanto da apparire banale. Forse non facilissimo e non così immediato e smart come potreste pensare leggendo le prossime righe ed i prossimi paragrafi perché in fondo si tratta di rivedere le nostre abitudini digitali, di disabituarci a quella che in alcuni casi davvero patologici è classificabile come una vera e propria dipendenza, e lo sappiamo tutti quanto sia difficile cambiare abitudini.

Ma da qualche parte bisogna pure iniziare no? Ecco qui una piccola check list di controllo che potrebbe esservi di aiuto, provate a rispondere:

  1. Come trascorri il tempo online?
  2. Aggiunge valore alla tua vita?
  3. Cambieresti qualcosa della tua interazione con il digitale?
  4. Che ruolo deve avere la tecnologia nella mia vita?
  5. Alcuni aspetti devono esserne esclusi?
  6. C’è qualcosa che trovo frustrante?
  7. Che intenzioni ho?
  8. Che cosa voglio ottenere?

Rispondere a queste domande ed iniziare a fare qualche riflessione sulla natura delle risposte che abbiamo dato ci potrebbe aiutare a:

  1. Essere più produttivi sul lavoro [3]
  2. Apparire più presenti agli altri e a noi stessi
  3. Staccare davvero la spina quando necessario

Il che mi pare già un bel risultato non credete?


Come migliorare il proprio digital wellbeing

tempo di utilizzoQuello che realmente possiamo fare per migliorare il nostro rapporto con la digitalizzazione e la tendenza all’iperconnessione, anche forzata dalla pandemia, è proprio sfruttare alcune delle potenzialità e delle feature che sono nascoste nei nostri smartphone.

Keep calm and… listen to Siri

Qui a fianco ecco lo screenshot del report settimanale sul “tempo di utilizzo” che puntualmente il mio smartphone mi propone. Report che puntualmente scarto ovviamente, come molti di noi.

In realtà dopo aver visto il meme che ho messo all’inizio di questo articolo ho iniziato a prestargli più attenzione e mi sono stupito: davvero passo una media di 5h e 30min con gli occhi e l’attenzione al telefono? Purtroppo sì.

Davvero ho passato 15h e 14min sui social? Sì. Per cosa poi? Ok… io on line ci lavoro, ma 5h e 30min attaccato al telefono sono davvero troppe, per me dico.

tempo di utilizzo 2Ho deciso di farmi del male e vi lascio anche sbirciare il mio “cazzeggio” sul telefono su cosa si concentra principalmente. Mi appello al V emendamento.

Diciamo che però sono bravo e sto imparando: ho passato il 5% del mio tempo on line in meno rispetto alla settimana precedente e sabato e domenica non ho quasi sfiorato lo schermo del telefono.

Sono sulla strada giusta?

Non saprei dire in effetti, anche perché non esiste e non esisterà mai una soluzione uguale ed ottimale per tutti, e sarebbe anche sciocco cercarne una.

I principali App Store, per Android come per IOS offrono davvero un elevato numero di applicazioni che ci aiutano a monitorare il nostro approccio con l’iperconnessione, alcune offrono suggerimenti per migliorare se non il nostro rapporto con il digitale almeno per aumentare il nostro livello di consapevolezza di quanto sia “il digitale” a controllare le nostre vite e le nostre azioni e non il contrario. Ed è proprio questo contrario che ci interessa.

Fatevi questa volta davvero un giro online e scaricate la app che più si avvicina alle vostre esigenze, anche solo per gioco, non si sa mai che funzioni.

E se proprio non sentite l’esigenza di provare ad esplorare questo aspetto delle vostre giornate… provate a rispondere a queste domande e se avete qualche domanda o dubbio scrivetemi pure.

  1. Tendi a perdere letteralmente la cognizione del tempo quando sei al telefono?
  2. Quando arrivano notifiche ed il mio telefono o il mio smartwatch vibrano non so resistere alla tentazione di controllarle?
  3. Quando sono con amici o famigliari tendo ad essere distratto dal telefono, dalle sue notifiche, dai suoi suoni e vibrazioni?
  4. Passo più tempo sui social di quanto vorrei o penso sia necessario?
  5. Prima di andare a dormire lancio una ultima occhiata allo smartphone?
  6. Mentre sono al lavoro/sto lavorando ho la sensazione di perdermi qualcosa di importante se non controllo il telefono?
  7. Se ho un dubbio, la prima cosa che faccio è accedere al telefono?

Un aiuto dalle pratiche di mindfulness

Voglio chiudere questo articolo con un esercizio, anzi con una pratica tratta direttamente dal diario della mia pratica settimanale di mindfulness, anzi due esercizi: uno che paradossalmente richiede l’uso dello smartphone ed uno no.

Esercizio 1:

Acquisire la consapelovezza della nostra mente, del suo vagare e della mancanza di attenzione

In diversi momenti della giornata, imposta alcuni allarmi sul tuo telefono scegliendo a caso gli orari. Ogni volta che suona l’allarme fermati, chiediti cosa stai pensando e cosa stai facendo in quel momento.

Stai realmente prestando attenzione a quello che stai facendo?

Sei nel presente? O la tua mente è rivolta a qualcosa nel futuro o nel passato?

Se puoi, scrivi le risposte o prendi semplicemente nota delle tue sensazioni ed inviamele, mi farà piacere parlarne con te.

Qualunque siano le risposte non cadere nella trappola mentale di giudicarle o di catalogarle come buone o cattive.

Prendi semplicemente e consapevolmente atto di ciò che stava attraversando la tua mente in quel momento.

Esercizio 2:

Uscire dalla modalità “pilota automatico” e multitasking

Questo esercizio aiuta a:

  1. Inserire un disabituatore.
  2. Uscire dalla modalità pilota automatico e multitasking.
  3. Prendere consapevolezza del proprio rapporto con la tecnologia e in che modo influisce sulla capacità di stare nel momento presente.

Istruzioni:

Per un paio di giorni a partire da domani mattina e se riesci anche per tutta la settimana, evita queste attività almeno per i primi 60 minuti da quando ti svegli:

  1. Non utilizzare il cellulare. Non consultare applicazioni, notifiche, social ecc. Tienilo semplicemente spento. Se sai che avrai bisogno di guardare l’ora, procurati un orologio prima, per svolgere l’esercizio.
  2. Evita di consultare le email, nemmeno al computer.
  3. Astieniti dal leggere il giornale.
  4. Non accendere la radio o la tv.

A seconda delle tue abitudini, nota durante i 60 minuti tutte le volte che ti viene l’istinto di consultare il cellulare, accendere la radio o il giornale.

Cosa provi?

Se puoi, anche per questo esercizio scrivi le risposte o prendi semplicemente nota delle tue sensazioni ed inviamele, mi farà piacere parlarne con te.

[1] The Distance Manager: A Hands On Guide to Managing Off-Site Employees and Virtual Teams di K. Fisher e M. Fisher da Mc Graw Hill – 2000

[2] Se volete approfondire il tema, eccovi qui il link diretto ad uno dei loro studi – 4 causes for zoom fatigue.

[3] Già ho scritto a proposito del multitasking e del suo “lato oscuro”: leggi qui l’articolo – multitasking non ti temo.


Massimo Chionetti Autore presso La Mente Pensante Magazine
Massimo Chionetti
HR Trainer | Consultant | Attore
Bio | Articoli | Video Intervista
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