Come vivere il tempo senza ansie
Impara a rallentare
Ottimizzazione.
Sembra questa la parola d’ordine dei nostri tempi.
Ottimizzare i processi, ottimizzare le relazioni, ottimizzare gli spazi e, soprattutto, ottimizzare i tempi.
Questi modi di dire sottintendono una ricerca alla perfezione spasmodica, quasi ansiogena. Una perfezione che per altro deve essere raggiunta in tempi brevi.
Negli ultimi anni sono sorte come funghi nuove figure professionali che aiutano le persone ad ottimizzare il proprio tempo e a dosare le energie; la vita è sempre più frenetica e assomiglia in tutto e per tutto ad una corsa ad ostacoli, ad una vera e propria gara.
Non a caso il linguaggio sportivo ha prestato vocaboli e modi di dire a queste “nuove branche” della psicologia: “andare sempre più forte”, “migliorarsi sempre di più”, stando attenti a “non rompersi”, “a non infortunarsi”.
Società veloci e società “lente”
Ma non tutte le società puntano alla velocità.
Nel Sud Est Asiatico, ad esempio, il rapporto con il tempo è del tutto diverso: rallentare, “smettere di fare” consente all’individuo di guardarsi da fuori, di analizzare se stesso come un processo chimico o fisico che avviene all’esterno del suo corpo.
Obiettivamente le nostre vite “industrializzate”, iper connesse e schizofreniche, viaggiano ad una velocità impossibile per la mente.
Non a caso, quando “andiamo molto forte” tendiamo a ripetere le azioni, perché la nostra mente, incapace di metabolizzare una frenesia di questo tipo, tende a rifugiarsi nel passato per trovare una sorta di serenità e di sollievo. Il rischio concreto è quello di fare sempre le stesse cose ad un ritmo totalmente privo di senso.
Per questo capita spesso di arrivare a fine giornata con la sensazione di non aver concluso nulla, benché ci siamo dati da fare “per andare a mille”. Viviamo come autisti spericolati, perennemente al limite delle nostre possibilità e spingendo al massimo l’acceleratore, a testa bassa e senza guardare il panorama che scorre fuori dai finestrini: la nostra vita interiore rischia così di fuggirci dalle mani.
Rimpianti in punto di morte
I rimpianti più frequenti in punto di morte non sono legati alla mancanza di progetti conclusi, al fatto che si “doveva andare più veloci” per “fare più cose”, ma al contrario spesso si rimpiange di non aver avuto tempo di “fare altro” rispetto a ciò che si è fatto.
Dunque fare meno e più lentamente potrebbe essere un buon punto di inizio per una nuova vita, più spirituale, più legata alle nostre vere intenzioni, ai nostri veri desideri e alle nostre reali aspettative.
Nel momento in cui solleviamo il piede dall’acceleratore possiamo alzare lo sguardo e a vedere le cose realmente per quelle che sono, con la mente finalmente libera di spaziare nell’immaginazione, di vedere le cose con più leggerezza e con un respiro più ampio.
Evidentemente non tutti possiamo permetterci di rallentare fino a fermarci del tutto. E direi che non è nemmeno auspicabile, per lo meno non in questa società “denaro-centrica” (o capitalistica, per dirla con un termine desueto) in cui “chi si ferma è perduto”.
Sarebbe anche interessante capire che cosa rischiamo di perdere. Prenderci degli spazi per rallentare la corsa, per guardare il panorama che scorre dai finestrini “della vita” è indispensabile se non vogliamo soccombere al processo di produzione e consumo schizofrenico finalizzato esclusivamente alla crescita materiale. Per altro, rallentare può migliorare persino la produzione e la qualità del lavoro.
Rallentare per intuire
L’intuizione, la prospettiva vincente, non possono che emergere dal rilassamento mentale.
Solo se lasciamo che il nostro cervello si prenda delle fisiologiche pause, potremo dare la possibilità ai nostri pensieri di dirigersi verso situazioni nuove, inesplorate e magari vincenti.
Quando la mente è focalizzata solo sul fare, deve preoccuparsi unicamente che la macchina spirituale non sbandi e non può in nessun modo permettersi di concentrarsi su altro.
Esattamente come quando qualcuno corre oltre le proprie possibilità fisiche e tutto il suo corpo è “concentrato” su come mandare avanti la macchina biologica, allo stesso modo avere sempre la testa a mille non darà tregua alla nostra mente, focalizzata esclusivamente nel mantenere un equilibrio psichico messo a dura prova.
Rallentare ti darà la possibilità di vedere la tua vita in modo obiettivo, rilassato, e magari ti verranno in mente delle idee a cui non avevi ancora pensato, idee che potrebbero rivoluzionare la tua vita o semplicemente il tuo lavoro.
In quest’ottica anche la produzione potrebbe avvantaggiarsi, in termini prettamente quantitativi, di un fisiologico rallentamento. Spegnere la macchina e fare un po’ di manutenzione porterà effetti insperati anche alle nostre attività quotidiane.
Una mente lenta per una mente migliore
Impara a coltivare piccole bolle di lentezza.
Non devi necessariamente diventare buddista, ma prendere qualche spunto dalla religione orientale potrebbe essere una buona idea.
Il Budda, questa sorta di entità spirituale che ha trovato l’accesso al benessere supremo, è spesso raffigurato come un individuo piuttosto grassoccio, sorridente e assolutamente restio a qualsiasi tipo di movimento. Non fa altro che “inglobare” le anime di chi ha raggiunto il Nirvana, per farsi sempre meno individualista, sempre più sereno e meno attaccato alle cose materiali.
Ovviamente questo è un esempio filosofico estremo, una tendenza che, per altro, nemmeno i monaci più esperti riescono a completare. L’annullamento totale dei desideri porterebbe ad un annullamento dei concetti spazio-temporali ai quali siamo abituati e non deve certo essere questo il tuo obiettivo finale.
Insomma; non ti sto invitando a stare fermo per il resto della vita, a ingrassare e non fare attività fisica.
Ma dobbiamo capire che ciò che ci differenzia dal resto del mondo animale è proprio l’utilizzo artistico della mente, una mente che se presa continuamente dal vortice della velocità non farà altro che ripetere le stesse azioni, esattamente come fanno gli altri animali che, legati al loro mondo istintuale, tendono a ripetere ciò che porta loro un beneficio in termini esclusivamente pratici.
Ma la mente umana non è programmata per pensare solo a cose materiali e, in quest’ottica, rallentare ci dà la possibilità di esprimere al meglio le potenzialità uniche del nostro cervello.
Coltivare le “bolle di lentezza”
Per la nostra mente la ripetizione è un modo rassicurante di affrontare le cose. Se compiamo sempre le stesse azioni abbiamo meno possibilità di sbagliare, ma così facendo non progrediremo mai.
E, come abbiamo visto, la ripetizione è legata alla velocità.
Rallentare è un atto estremamente coraggioso, nel senso che ci metterà davanti ad una nuova vita, a nuove prospettive che non avevamo preso in considerazione e che di primo acchito potrebbero persino spaventare. Piano piano sorgeranno nuovi pensieri, nuovi modi di vedere le cose che inizialmente potrebbero anche disorientare.
Abbi il coraggio di rallentare.
Il mito della velocità
Il mito della velocità è duro a morire. È un mito piuttosto recente in termini storici, nato con i primi processi di industrializzazione e, concettualmente, con il futurismo. Siamo ancora impregnati di questo falso mito, un mito che portato all’estremo non può che danneggiare l’intero apparato psichico e sociale.
Festina lente: alla ricerca del giusto compromesso
Ovviamente nessuno di noi può permettersi di fermarsi “per sempre”. Nessuno, a meno di non dedicare l’intera esistenza alla spiritualità, può passare tutto il tempo seduto e pensare.
Cosimo de’ Medici, il granduca della Firenze del sedicesimo secolo, una città ricca, produttiva e decisamente raffinata, aveva voluto che sull’insegna della sua flotta mercantile campeggiasse una scritta: “Festina Lente”.
Un ossimoro latino che, letteralmente, significa “Affrettati lentamente”, e che invita a seguire i propri obiettivi in modo ordinato, deciso, ma al tempo stesso rilassato.
Già Cosimo de Medici, insomma, aveva capito che la fretta è cattiva consigliera e ancora oggi potrai ammirare l’ossimoro visivo della tartaruga con la vela, raffigurato sul Palazzo Vecchio di Firenze. Velocità moderata e pensiero cauto: un buon mix per una crescita personale e spirituale che non possono viaggiare slegate da quella economica e produttiva.
Nemmeno Dante Alighieri amava il concetto di velocità; secondo l’autore della Divina Commedia colui che guarda solo avanti e non alza mai lo sguardo al cielo, corre alla morte partecipando ad una inutile corsa contro il tempo.
Modernità e velocità
La folle velocità dei cambiamenti tecnologici certamente non aiuta il nostro equilibrio psichico. Ciò che oggi è ritenuto moderno e innovativo, rischia di divenire desueto nell’arco di pochi anni ed è necessario un costante aggiornamento, spesso frustrante, per rimanere al “passo coi tempi”.
Questo tipo di velocità, frutto esclusivo di una mercificazione del prodotto finale, non può che portare a stress e nevrosi, entrambi ovvi nemici del nostro benessere. Senza ombra di dubbio il ventesimo secolo ha migliorato le nostre condizioni fisiche, ma al contempo ha peggiorato quelle mentali.
Potremo sintetizzare gli effetti della modernità con una frase: vivere più a lungo per consumare di più, il tutto a scapito del pensiero e della moderazione.
Non a caso negli ultimi anni stiamo riscoprendo, anche in Occidente, i benefici della meditazione e del contatto con la natura, a dimostrazione del fatto che i nostri geni e la nostra mente non possono sopportare questi ritmi per molto tempo. C’è una sorta di disadattamento evolutivo nell’uomo moderno che cerca se stesso nel pensiero slegato dal contesto produttivo.
Oriente e Occidente nel ventesimo secolo. Due mondi a velocità diverse
Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Una automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… una automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Nike di Samotracia.
– La bellezza della velocità, Tommaso Marinetti
Marinetti invitava alla guerra e alla distruzione del passato, delle biblioteche e della cultura antica. Voleva igienizzare il mondo bruciando il futile attraverso l’uso artistico e sociale della velocità.
Le macchine diventarono vere e proprie divinità pagane che promettevano di annientare la spiritualità delle religioni, ormai additate sia a destra che a sinistra come nefaste e portatrici di valori ambigui.
Invece l’Oriente prese la direzione totalmente opposta.
Negli stessi anni in cui Marinetti invitava alla velocità e alla distruzione, in molte parti dell’Asia vi fu un radicamento delle antiche tradizioni buddiste legate al rallentare e allo spirito, al beneficio del pensiero energico e cosciente.
Pare che ancora oggi siamo immersi in questa sorta di dicotomia mondiale e se è vero che il mondo industrializzato è in crisi, il motivo fondante andrebbe forse ricercato proprio nella velocità schizofrenica che ha ridotto persino l’attenzione fisiologica ai tempi della riproduzione, dell’amore e del cibo.
L’esperimento del buon samaritano
Vennero isolati due gruppi di seminaristi che dovevano tenere un discorso proprio sul “buon” utilizzo del tempo. Il discorso si sarebbe tenuto in un edificio a fianco. Al primo gruppo venne detto che erano in drammatico ritardo, mentre all’altro che avevano tutto il tempo necessario per recarsi nell’edificio.
Nel passaggio da un edificio all’altro un uomo bisognoso di aiuto chiese ai seminaristi di scambiare qualche parola: quelli che andavano di fretta non si fermarono, mentre quelli che avevano tempo si fermarono per prestare soccorso.
Il discorso che i due gruppi dovevano tenere era proprio incentrato sull’utilizzo etico del tempo.
Il tempo è denaro
Sarebbe bello invertire i termini della frase e dire che il nostro denaro interiore è il tempo.
Ogni mattina, quando ti svegli, hai 24 ore di tempo che teoricamente dovresti essere libero di spendere come vuoi.
Già gli antichi romani sostenevano, attraverso le parole radicali di Seneca, che il tempo era la cosa più preziosa della vita. Proprio l’utilizzo che facciamo del tempo dà valore, o viceversa sminuisce il concetto di vita. A tutti viene concesso del tempo, diceva Seneca, a tutti viene concesso questo bene, prezioso più dell’oro, che con tanta facilità scialacquiamo come se ne avessimo a disposizione una quantità infinita.
Esattamente come per le cose materiali, sono la rarità e la finitezza a dare valore al concetto di tempo.
Se i diamanti si trovassero facilmente per strada non avrebbero il valore che hanno. E così il tempo, bene finito, deve essere considerato il “diamante delle nostre vite”.
Ancora Seneca riteneva, paradossalmente ma non troppo, che chi “facesse e basta” fosse un perditempo. Il filosofo riteneva indispensabile dedicarsi ad attività spirituali e allo sviluppo interiore.
Non sono gli uomini inattivi a privare la vita del suo senso più profondo, ma al contrario sono coloro che spendono tutto il tempo nella ricerca di quelle cose materiali che moriranno con lui.
Si potrebbe obiettare che anche il pensiero se ne andrà con la nostra morte. Ancora una volta sono alcune tradizioni buddiste a venirci in soccorso: nel pensiero vi sarebbe una sorta di universalità trascendentale.
I monaci non hanno tempo
La cerimonia del Tak Bat che si tiene a Luang Prabang nel nord del Laos e coinvolge centinaia di persone, è legata proprio all’importanza del pensiero. I monaci buddisti pensano. A dire il vero impiegano le loro giornate anche nel lavoro manuale, ma le loro attività principali sono il pensiero e la meditazione.
Non hanno “tempo da perdere” in cose pratiche e passano la maggior parte delle loro giornate a meditare, a pensare. Per questo motivo gli abitanti di Luang Prabang fanno la questua ai monaci. Offrono loro riso e persino denaro, proprio perché i monaci non hanno tempo per mantenersi attraverso il lavoro.
La popolazione li mantiene in vita attraverso la carità proprio perché il loro atto mentale serve all’universo intero e quindi anche agli abitanti di Luang Prabang stessi.
Non vivere come se avessi paura di arrivare tardi il giorno del tuo funerale!
– Geir Berthelsen
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