Meditazione e Solitudine
Due volti silenziosi in grado di restituire una nuova armonia
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“La meditazione è un movimento nell’ignoto e dell’ignoto”, un flusso energetico di fronte al quale il silenzio diviene portavoce di nuove scoperte e al contempo di nuovi incontri con sé stessi.
Grazie a questa semplice ma intensa massima indiana, meditare vuol dire abolire il pensiero, i suoi contenuti abitudinari e oramai obsoleti a favore di una nuova rinascita sia psichica che cognitiva. Poiché secondo le parole del filosofo indiano Krishnamurti “meditare è morire al già noto”.
Divenire più meditativi consentirebbe dunque l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza entro la quale diviene possibile percorrere sentieri diversi da quelli già battuti in passato. I quali nel momento presente rischierebbero di trasformarsi in zavorre, pesi mentali e in un silenzioso rumore in grado di intaccare tanto il nostro equilibrio intrapsichico quanto quello psicosomatico.
Coltivare una buona pratica alla meditazione consente di conoscere il silenzio e lo sguardo, di affinare il proprio udito grazie al quale captare le medesime risonanze provenienti da un mondo che già risiede al nostro interno.
La stasi, la quiete, il silenzio e la solitudine risultano quindi ingredienti essenziali ed utili al ripristino di quello stato di coscienza che nel quotidiano si deposita all’infuori di noi e che troppo spesso si fa fatica a ricollocare entro i confini del nostro Sé.
“Meditare è compiere l’atto di rimanere soli”, a contatto con i numerosi volti dai quali ciascun essere umano è inevitabilmente abitato. Vuol dire correre il rischio di prendere il giusto distacco dai pensieri comuni, dal chiassoso rumore con cui le direttive esterne pretendono di direzionare il normale prosieguo del nostro cammino.
Sia la Solitudine che la Meditazione possono riflettere la nascita di un nuovo atteggiamento tanto con noi stessi quanto con chi ci circonda, offrendo così ad ognuno l’opportunità di imparare a prendere fiducia e (contatto) con un bagaglio già ricco di strumenti e che proprio ambo le compagne di viaggio sono in grado di arricchire.
Come sottolineato dallo psichiatra Eugenio Borgna la solitudine riflette per l’appunto l’atto meditativo per eccellenza, rispetto al quale il coraggio e la speranza prendono vita attraverso un graduale distanziamento dall’esterno a favore di una maggiore presa di contatto con le nostre voci più autentiche.
La meditazione pertanto evidenzia una possibilità al cambiamento capace di riverberarsi sia sulla dimensione emotiva e cognitiva che su quella corporea, apportando così la fioritura di un nuovo stato della mente pronto a coniugarsi in un flusso energetico di coscienza lontano dai limiti delle conoscenze e delle chiavi di lettura esterne. Le quali sovente rischiano di tradursi in convinzioni unilaterali, definitive e difficili da scardinare.
Se quindi la meditazione vuole prefigurarsi quale modalità di incontro con la solitudine, quest’ultima offre la possibilità di distogliere lo sguardo da ciò che è ricorrente e per di più insediato all’interno dei nostri pensieri.
Quello che spesso risulta essere monotono, uguale, ripetitivo e unilaterale cela dietro di sé un’abitudine ed una cristallizzazione del pensiero entro una cornice che Carl Gustav Jung e James Hillman avevano definito “nevrosi della coscienza”.
Dove la dipendenza da quanto risultava ormai collaudato sembrava non lasciare spazio all’imprevedibile e tanto meno all’incontro con le parti più autentiche del proprio Sé.
Ad oggi purtroppo le dinamiche sociali ed interpersonali non sembrano aver favorito un cambio di rotta; per di più sembrano aver incrementato una rincorsa capace solo di creare un vuoto e una distanza dal proprio patrimonio psichico.
Così coltivare un atteggiamento meditativo consente di restituire la voce a quel nucleo apparentemente invisibile che a nostra insaputa non ha mai smesso di richiamarci al nostro compito più importante: quello di incontrare noi stessi.
Dott. Cristi Marcì
Psicologo Psicoterapeuta a indirizzo Psicosomatico e Operatore Perinatale
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