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Ho conosciuto Ema – voglio chiamarla così, con il nome della sua rinascita – inizialmente tramite i social, poi grazie al suo libro. Ho conosciuto Ema attraverso le sue parole: poche persone sanno raccontarsi senza filtri ma Ema ci riesce. Ema non scrive per la fama, scrive innanzitutto per se stessa. È una terapia mettere nero su bianco il suo calvario, le sue scelte sbagliate, perché restare accanto a un uomo violento è una scelta di chi pensa di non avere altra scelta (se non la morte). Ma Ema scrive questo libro anche per le donne che non ha mai incontrato, per dimostrare che una via d’uscita dalle violenze c’è, difficoltosa ma possibile. La sua testimonianza, intensa e sincera, descrive una strada lunga e tortuosa che parte da un amore che non è tale e che genera un’inaccettabile sofferenza, fatta di parole denigranti, sangue che scorre, pugni al viso e calci sulla schiena. Inizia a raccontarsi Ema, attraverso i testi delle canzoni che le hanno dato coraggio e con una sincerità disarmante risponde alla domanda che tutti le pongono “perché hai sopportato tanto? Come hai fatto?” “La risposta non la conosco e non la capisco. Forse ero innamorata prima e senza speranza dopo.” Ci impiega tanto, Ema, a trovare quella speranza. Per tanto, troppo tempo, è la paura a vincere. La paura innanzitutto di perdere i suoi figli, che vengono usati come arma di ricatto da quell’uomo piccolo e meschino che purtroppo è il padre, pur non meritando questo appellativo. Una paura immensa che è alimentata anche dalle parole scoraggianti di chi dovrebbe aiutarla: “non le possiamo garantire che terrà la bambina, dipende”. Ma proprio quando Ema pensa di aver toccato il fondo e pensa alla morte, ecco che riesce a trovare il coraggio di salvare se stessa e i suoi figli. Non è un percorso veloce o semplice:

Raccontare la tua vita a chi la giudica dall’alto verso il basso. Mi sono sentita nuda, piccola, sbagliata, cattiva madre. Lei crede di aver tutelato i suoi figli? È fortunata se glieli facciamo tenere, certo non è stata tutelante” e tu cadi nel baratro, giù verso quell’abisso di una che è sola. Lo stato ha i suoi tempi e le persone nei palazzi di giustizia diventano fascicoli e competenze.

Il binario 24 di una stazione è per lei e la sua famiglia il luogo dove la libertà ha inizio, il primo passo verso un futuro diverso. Le case accoglienza offrono a Ema e ai suoi figli un rifugio, un aiuto psicologico e pratico di cui certamente hanno bisogno per ricostruire dalle macerie di una relazione tossica una nuova vita. Ne viene fuori una donna che ha trasformato le sue debolezze in forza, che deve affrontare difficoltà economiche, oltre che psicologiche ma che ha dentro di sé una forza immensa. Solitamente le vittime di violenza ergono muri a protezione, Ema quei muri riesce a farli cadere per amore dei suoi figli. Ema si mostra vera, meravigliosa per la sua riscoperta voglia di amarsi, consapevole, libera. La sua è una storia di rinascita che tutti dovrebbero conoscere perché ci mostra la violenza vista da dentro, ci aiuta a riconoscerla, testimonia che è possibile allontanarsi da essa, anche se dimenticare è impossibile. Poteva essere il preludio di un femminicidio, lo è stato invece di una rinascita. Un libro che mi ha fatto arrabbiare perché mostra quanto l’uomo possa essere meschino e cattivo verso una persona che dice di amare, ma è allo stesso tempo è un libro che dà speranza e che consiglio a tutti. Mi auguro che verrà letto anche nelle scuole per divulgare la cultura del rispetto e ingenerare un cambiamento quanto mai necessario. Buona lettura! Eliana Romeo