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Disturbo da alimentazione incontrollata

Tre fattori che ne ostacolano la guarigione

https://lamentepensante.com/superare-i-momenti-di-tristezza-e-solitudine/


Nell’articolo di oggi voglio portare l’attenzione su tre ostacoli comuni che rendono più difficile il percorso di recupero dalle abbuffate.

Le abbuffate sono la manifestazione più evidente del disturbo da alimentazione incontrollata, detto anche Binge Eating disorder.

C’è qualcosa di abbastanza chiaro quando penso al percorso delle persone che supporto, ed è questo:

Quando capiamo con maggiore chiarezza che cosa sta intralciando il loro percorso per fare pace con il cibo, è più facile poi mettere in atto un piano fatto di piccoli passi e cambiamenti per superare queste barriere.

Prima di passare ad elencarvi tre tra gli ostacoli più comuni, voglio fare una premessa.

L’ostacolo va visto non come nemico della guarigione, ma in un’ottica di opportunità, ovvero come ciò che di permette di far emergere le aree sulle quali è più utile focalizzare l’attenzione.

Offre una chiave di lettura per poter comprendere meglio l’origine del problema ed in questo modo fare un lavoro su sé stessi più profondo e di valore.

Ora vediamo nel dettaglio ciascuno di questi ostacoli/opportunità.


Ostacolo/Opportunità n.1: avere fretta di cambiare

Ciò che emerge spesso è la difficoltà a far pace col fatto che il recupero dal disturbo da alimentazione incontrollata richiede del tempo (come è il caso anche di molti altri disturbi).

Non si può avere fretta. Bisogna prendersi del tempo per lavorarci su.

Quanto tempo? Tutto il tempo necessario  che, chiaramente, varia da persona a persona.

Le scorciatoie o l’impazienza sono spesso controproducenti.

Ad esempio, sento spesso le donne con cui lavoro dire che hanno provato a usare la mindfulness per portare più consapevolezza a ciò che sta succedendo quando si abbuffano ma che questo non ha funzionato.

Oppure mi riferiscono che hanno aggiunto i loro cibi “proibiti” alla loro lista della spesa e li hanno portati a casa ma non è andata come speravano. Si sono abbuffate comunque, quindi non ha funzionato affatto.

Tuttavia, quando guardiamo un po’ più a fondo, emerge che sono giunte a questa conclusione dopo aver provato solo un paio di volte per una o due settimane, che è un lasso di tempo estremamente limitato.

Ciò è vero soprattutto se si considera che il mangiare in maniera incontrollata, abbuffandosi regolarmente, potrebbe essere presente da anni, se non decenni.

Non esistono scorciatoie per cui nel giro di qualche settimana le abbuffate spariscono.

La mindfulness è un’ottima alleata nel percorso di guarigione, ma certamente non una formula magica.

Darsi l’opportunità di accesso in maniera libera a tutti i tipi di cibi richiede del tempo prima che se ne possano sentire i benefici in termini di rapporto più calmo e meno conflittuale col cibo.

C’è una trappola che si nasconde dietro al provare qualcosa di nuovo o di diverso un paio di volte e concludere che “semplicemente non funziona per me“.

Ripetuto nel tempo, questo modo di guardare ai risultati porta al “non fare nulla“, a rimanere nello status quo, perché fa perdere la fiducia nel provare ancora e proseguire nel percorso: “Non c’è niente che funzioni per me“.

Ancora, nella definizione di “non ha funzionato” c’è spesso spazio per rivedere ed espandere il significato di successo/fallimento come parte di questo importante percorso in cui a volte potrebbero sentirsi fragili e sempre in salita.

È perfettamente normale sentirsi in questo modo, quando si affronta un percorso di recupero.

Ci sono dubbi, paure, raramente si vedono subito risultati, anche se poi, col tempo, arrivano.

L’aspettativa di ottenere le cose in maniera facile e veloce è così radicata nella nostra cultura.

Ma ci sono cose che non possono essere velocizzate.

Come per molte altre cose nella vita, ci vuole pratica, impegno, volontà di vedere le cose da prospettive diverse, azioni concrete, messa in discussione di abitudini e modi di pensare al cibo e alla vita in generale.

Nessuno si aspetta che tu prenda un violino e inizi a suonarlo.

Non c’è differenza quando si tratta di cambiare il tuo rapporto con il cibo.

Ecco perché incoraggio sempre le clienti (e anche tu che ora leggi questo articolo) a vedere quanta compassione e impegno per rimanere nel percorso riescono trovare dentro di loro e come parte dello stare in quel contenitore sicuro della nostra relazione.

Soprattutto quando, come in questo caso, la manifestazione più profonda del progresso non può essere vista esternamente, o almeno non immediatamente.

Soprattutto quando i segni di guarigione vengono misurati in base a come ci si sente più che con numeri come il peso o le porzioni di cibo.

Mantenere le promesse fatte a sé stessi è il modo più efficace per aumentare la fiducia nella propria capacità di guarigione.

Mantieni costantemente la promessa che farai il piccolo passo che ti sei impegnato/a a fare anche in quei giorni in cui è l’ultima cosa che vorresti fare.

Rilassati sapendo che azioni prolungate nel tempo e cambiamenti intenzionali daranno più frutti di una soluzione affrettata e ansiosa.


Ostacolo/Opportunità n.2: il desiderio di perdere peso e avere controllo sul cibo

Mettere consapevolmente da parte il desiderio di perdere peso aiuta enormemente il recupero.

È molto importante ricordare a sé stessi che nonostante il desiderio sia ancora lì, non gli si vuole più dare il potere di scavalcare ciò che conta di più per noi, ovvero guarire dalle abbuffate.

Riconosco quanto sia difficile. D’altronde l’ho vissuto in prima persona.

Credimi quando ti dico che so come il pensiero di voler sembrare diversi, più snelli, può insinuarsi nei momenti più inaspettati. Anche dopo anni di lavoro su sé stessi e sul rapporto col cibo.

Tuttavia, posso anche testimoniare gli incredibili benefici dell’apprendimento e della pratica di essere più neutrali, meno critici e giudicanti, riguardo al cibo e al proprio corpo, eliminando gli opposti buono/cattivo.

Posso garantire che c’è una certa la libertà che deriva dallo spezzare l’associazione che tutti abbiamo imparato da quando eravamo molto piccoli; quella che perdere peso equivale automaticamente a migliorare la propria salute e ad essere una persona migliore o di maggior successo.

In particolare, molte donne che hanno intrapreso questo viaggio già un po’ di tempo parlano di una calma ritrovata, di una tregua dopo anni passati a criticarsi.

Condividono il benessere che deriva dal fatto di credere di essere già abbastanza così come sono, della libertà di mangiare senza quel pesante senso del dovere di seguire le regole degli anni della dieta.

Più sorprendentemente (forse non per me), alcune donne si rendono conto che ciò che pensavano fossero abbuffate in realtà non lo erano. Piuttosto capiscono che erano il risultato di vedere il cibo di cui il loro corpo aveva bisogno attraverso la lente della loro ossessione per il mangiare healthy o clean.

Ad esempio, mangiare quei biscotti dopo cena per loro era un segno di abbuffate, perché avevano imparato che se si è già mangiato, perché si dovrebbe voler mangiare? Semplicemente non si dovrebbe!

Tu sei disposto/a a dare la priorità al recupero dalle abbuffate rispetto alla ricerca della perdita di peso? Se sì, quali benefici pensi potresti trarne?


Ostacolo/Opportunità n.3: non occuparsi della parte emotiva

Credo fermamente che lavorare per costruire la neutralità nei confronti del cibo e sospenderne il giudizio, abbandonando la mentalità della dieta, sia solo una parte del lavoro quando si affrontano i problemi derivanti da un’alimentazione incontrollata.

Se il lavoro si ferma lì, spesso è incompleto.

Soprattutto quando le abbuffate non sono causate principalmente dalla privazione del cibo e da regole rigide, ma dal desiderio di anestetizzare o evitare particolari emozioni e/o situazioni.

L’attenzione su ciò che senti ad un livello più profondo è importante quanto quella sul cibo stesso, se non di più.

Adoro questa frase di Tara Brach, che dice:

Quando portiamo le nostre emozioni alla luce della nostra consapevolezza, queste perdono la loro intensità.

Quando si insinuano ansia, solitudine, tristezza, rabbia, che ti portano a ricercare rifugio nel cibo:

  • Puoi prendere un diario o trovare uno spazio tranquillo per fermarti a capire cosa sta succedendo?
  • Riesci ad andare a fondo alle storie che ti stai raccontando e che ti portano a sentirti così?
  • Ti va di ‘stare‘ con quella sensazione abbastanza a lungo da notare come perde la sua intensità col tempo?

Le emozioni ti offrono l’opportunità di identificare il problema che si esprime esternamente attraverso le tue abbuffate (il sintomo).

Ti indicano la strada, indicandoti parti della tua vita o te stessa/o a cui potresti prestare più attenzione, sebbene non possano costringerti a prenderla.

Ci sono molti vantaggi che derivano dal lasciare alle spalle anni di regole dietetiche e falsi miti su cibo e salute.

Ma questa parte del recupero non può sostituire il lavoro sulle emozioni, che, tra i tanti vantaggi, ti permette di:

  • Riconoscere e dare un nome a qualsiasi disagio che provi dentro di te.
  • Riconoscere che vivere queste emozioni fa parte del fatto stesso di essere umani. Non possiamo aspettarci di non sentirci tristi, arrabbiati, annoiati, ecc.
  • Stare con te stesso/a e accudire ai tuoi bisogni anche quando le cose non vanno come previsto o come vorresti che andassero. Anche se senti qualcosa di inquietante, confuso o scomodo.
  • Osservare i tuoi sintomi (es. abbuffate), che al momento ritieni stiano rovinando la tua vita, con accettazione e curiosità.
  • Prestare attenzione a capire quali sono i bisogni insoddisfatti dietro a queste emozioni.
  • Essere creativa/o nell’identificare modi diversi per soddisfare tali bisogni.

Mi chiedo quali pensieri ti vengano in mente leggi quanto ho condiviso qui.

Hai mai pensato a come questi fattori potrebbero ostacolare la tua guarigione dalle abbuffate?

Quali altri ostacoli vedi nel tuo percorso che non ho elencato qui?


Dott.ssa Donatella Porceddu Autrice de La Mente Pensante
Dott.ssa Donatella Porceddu
Psicologa | Binge-Eating Coach
Bio | Articoli
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