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Le paraprassie, ovvero gli atti mancati

Un’indagine storica e psicoanalitica

Image by pouria teymouri on Pexels.com


L’impianto concettuale

Il precursore è Ralph Emerson, filosofo americano (1803-1882) che già tra il 1847 e 1870 parla della necessità di “liberare i pensieri latenti”, tra i quali i sogni e l’umorismo come produttore di atti mancati.

Gli altri albori dell’Opera “Psicopatologia della vita quotidiana” (1901) vanno ricercati in questi accadimenti.

Nel 1897 Freud non se la passa molto bene, né da un punto di vista professionale né da quello della salute per via della sua nevrosi; dunque, decide di iniziare la sua autoanalisi.

Autoanalisi che lo porta a capire qualcosa di più del funzionamento della memoria e del concetto fondamentale di rimozione.

In quegli stessi anni, scrive due lavori preparatori, ossia “Meccanismo psichico della dimenticanza” (1898) e “Ricordi di copertura” (1899), entrambi ancora centrati sul concetto di memoria.

Anni importanti e fervidi, questi di fine ‘800, ricchi di nuove scoperte; infatti scrive “L’interpretazione dei sogni” (1899) in cui inserisce i luoghi psichici della Prima Topica con la tripartizione di Inconscio, Preconscio, Conscio, formula il concetto di psicoanalisi e conia il termine di metapsicologia (al di là della psicologia); dopodiché scrive, appunto, “Psicopatologia della vita quotidiana”.


Psicopatologia della vita quotidiana: ossia gli atti mancati

A tutti capita di dimenticare o perdere qualcosa, che sia un concetto o un oggetto o altro, oppure di dire un nome, una parola al posto di un’altra, di scrivere o leggere parole differenti dalle reali, dimenticanza di appuntamenti eccetera.

Ebbene, la cosa può essere spiacevole per le eventuali conseguenze ma di certo non si pensa alla psicopatologia bensì a stanchezza, stress o ad un carattere un po’ sulle nuvole. Dunque, l’associazione è di una generica sbadataggine.

Si è assolutamente nel conscio e difficilmente si pensa che si sia mossi da quell’invisibile propulsore di energia che è l’inconscio.

Freud, invece, molto semplicemente l’ha pensata in modo differente.

Perché ci sia un atto mancato innanzitutto occorre che ci sia uno stato psichico di conflitto nevrotico, poi un ricordo rimosso, una sorta di amnesia psichica e un abbassamento delle funzioni dell’Io.


La perturbazione degli atti

Pertanto le sbadataggini sono “perturbazioni” di un atto intenzionale su uno non intenzionale, e non certo dovuti al caso.

Dunque, gli atti mancati, come i sogni e i sintomi, sono atti psichici e danno il senso alle manifestazioni del corpo-parlante e, infatti, essi stessi sono la messa in scena della conflittualità tra intenzioni e quindi delle perturbazioni: ho detto (azione perturbante) ma volevo dire (azione perturbata).

E allora, parola chiave di tutto il discorso è: “interferenza tra due intenzioni”.

Freud alla IV lezione del corso di psicoanalisi, nel 1915 a Vienna:

d’ora innanzi procederemo dall’affermazione che gli atti mancati sono atti psichici e hanno origine dall’interferenza di due intenzioni.

L’interferenza nasce dal fatto che le intenzioni non sono sempre governate dalla razionalità ma si esprimono anche attraverso il processo inconscio che riporta alla memoria un fatto rimosso.

Qualcosa bisogna pur farsene dello scontro tra le due intenzioni: ecco allora la formazione del compromesso tra esse. E’ proprio un compromesso tra l’incompatibilità in cui nessuna delle intenzioni ha la meglio ma entrambe sono “soddisfatte”.

Se si dice un nome per un altro, oppure ci si dimentica di prendere le chiavi di casa, o chissà come mai si sbaglia la strada per andare al lavoro, tutto questo è dovuto al conflitto tra l’intenzione conscia e quella inconscia rimossa, conflitto sistemato con l’attuazione del lapsus, cioè: se si sbaglia la strada per andare al lavoro significa che non si ha tanta voglia di andarci e così via.

Trovare il motivo per cui non si abbia tanta voglia è compito della capacità di indagine della psicoanalisi.


Gli atti mancati oggi

Come detto, i lapsus rappresentano la via eletta per l’emersione del rimosso dall’inconscio.

Bene. Dunque: tanto di ciò che si compie è non voluto-ma voluto, ossia ci si rende conto, anche con un minimo di auto introspezione, che sotto c’è qualcosa che è meglio non dire, qualcosa che salta fuori apparentemente in modo involontario.

E quindi si ha coscienza di un qualcosa di inconscio.

Ma non tutte le azioni sono governate dal compromesso del lapsus.

Molte volte si compie un’azione perché la si vuole proprio compiere, per più motivi indiscutibili sul piano del libero arbitrio e su quello dell’accettazione sociale.

Ci sono anche fatti compiuti che sono invece discutibili, nei quali il compromesso sembrerebbe non esistere.

Ad esempio, le bande di ragazzi o di tifosi che fanno a botte, i manifestanti che buttano bombe, gli scippatori, i furfanti, i pusher, i trafficanti, i ladri…..

Queste persone hanno tutta la voglia di fare effettivamente ciò che fanno: il loro comportamento non è esito di nessun compromesso con una istanza inconscia rimossa. Per lo meno non in questi termini.

Qui il discorso non è rubo ma in realtà avrei voluto donare: nessuna intenzione rimossa in contraddizione.

Ciò non significa che queste persone non abbiano l’inconscio o non abbiano attuato la rimozione di qualcosa: è solo che non considerano né il loro inconscio né permettono di emergere a ciò che non si vuole più ricordare.

Probabilmente il dolore psichico è forte e impedisce questa possibilità di ricordare.


Riflessione personale su fenomeni di possibile spiegazione

Il primo, l’aggressività di fondo, la scarsa o nulla autostima, la debolezza sia dell’Io che del Super-Io, la non adesione alle norme sociali, la non identificazione con l’Altro …. tutto questo non è criticato o sottoposto a mentalizzazione per cui si agisce in preda allo sfogo più primitivo che ci possa essere.

In psicoanalisi ciò è riferibile al principio di piacere in cui la scarica libidica deve essere soddisfatta nell’immediato senza traslazione di tempo (lo voglio adesso). Ed anche la frustrazione dovuta al comportamento di una madre assente o per lo meno non presente a comando (non devi andar via).

Vere o immaginate che siano, queste esperienze lasciano una traccia mnestica che a sua volta decide il modo di essere ma che va a finire dritta dritta nel calderone del rimosso inconscio. I soggetti di cui sopra attuano una scissione cieca tra conscio e inconscio a discapito della comprensione dei segni e dei significati che vorrebbero emergere.

Un altro fenomeno può essere rintracciato nel senso di potere conferito dalla coesione del gruppo. Il gruppo, quel genere di gruppo, è non pensante per definizione, l’azione prevale sul pensiero critico in nome di un’ideologia mistificatoria.

In psicoanalisi, è come se il gruppo si ponesse quale Padre-totem che non tollera i figli maschi e vuole tutte le figlie per sé. I figli maschi sono rappresentanti del potere sociale regolamentatore non riconosciuto e rispettato da quel genere di gruppo e le figlie femmine sono, a loro volta, rappresentanti dell’oggetto del desiderio ogni volta che se ne abbia voglia (voglio scendere in piazza).

I punti di riferimento teorici si ritrovano in Freud specificatamente in “Totem e Tabù” (1913), secondo libro “il tabù e l’ambivalenza emotiva”, in cui l’orda dei fratelli si ribella contro il Padre despota, con le ovvie trasposizioni del caso.

Riferimenti si ritrovano ancor più nel libro “Disagio della civiltà” (1929), sempre di Freud, in cui si trova il lampante desiderio di mettere in scena gli istinti primitivi contro le restrizioni della società.

Poi c’è anche il fenomeno del “Disturbo Narcisistico di di Personalità” (DSM 5, cluster B) nella sottospecie di Narcisismo Maligno (Kernberg, 1984).

In esso la labilità dell’autostima si trasforma in senso di potere onnipotente E, quindi, in facile aggressività, in comportamenti sadici e antisociali, il tutto a discapito degli altri. In aggiunta, l’appartenenza al gruppo enfatizza tale sentimento, “drogato” dall’ambivalenza tra realtà così com’è e la realtà cattiva in quanto minacciosa rispetto alle proprie aspettative di conferma.

Il riferimento teorico caposaldo della psicoanalisi di Freud è “Introduzione al Narcisismo” (1913-1914) soprattutto nel suo derivato Io-ideale in cui l’idealizzazione ha la meglio sull’Ideale dell’Io che invece è discendenza del Super-Io.

La psicoanalisi prende in considerazione l’aspetto patologico della megalomania, in cui si attua il passaggio dalla persecuzione alla grandiosità megalomanica dell’idealizzazione di se stesso in cui la ferita narcisistica del non “riconoscimento”, essenzialmente affettivo, si manifesta in una continua sfida per l’affermazione si sé.

In conclusione, gli atti mancati, sia ieri che oggi, sono fenomeni psichici e, in quanto tali, lo sono anche di interesse sociale.

In qualche modo, alle manifestazioni di intolleranza occorrerebbe dare la possibilità di accedere all’intenzione rimossa.

Così si capirebbe qualcosa di più.


Dott.ssa Grazia Aloi autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Grazia Aloi
Psicoanalista | Psicoterapeuta | Sessuologa
Bio | Articoli | Video Intervista
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